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Frammenti di specchi

Il dolore del passato non è solo mio ma anche di chi mi sta vicino. Ha tante sfaccettature. Provo tutti i giorni a ricordare, a mettermi nei panni di chi ha condiviso con me questi anni d’inferno. Oggi ho provato a raccontare la mia storia da vari punti di vista

Non riesco a dormire e come sempre fumo una sigaretta dopo l’altra. Non voglio ammetterlo ma dentro di me so che la sto aspettando. Perché, anche se sono molto arrabbiata, in fondo mi manca tanto. È mia figlia. Da una parte non vedo l’ora che torni a casa per saperla al sicuro, però ho paura di guardarla in faccia. Non riesco a spiegare questa sensazione che sto provando, d’impotenza e rassegnazione totale. Tutti giorni mi tormenta un unico pensiero: come posso aiutare mia figlia a uscire da questo circolo vizioso, da questo incubo senza fine? A un tratto sento il rumore della porta, poi il suono dei suoi passi che si avvicinano. Entra e si gira bruscamente verso di me, mi spaventa e quando me la trovo davanti, rimango pietrificata. La guardo ma non la vedo, la tocco ma non la sento. Lei mi parla e io non riesco ad ascoltarla. Per un attimo mi sembra che il tempo si sia fermato. Il mio sguardo è fisso nel suo, in quegli occhi spenti, dove riesco a percepire la profondità del vuoto dentro di lei. Quelle pupille nere e dilatate come il buio, quell’espressione spenta e priva di emozioni. Mi si stringe lo stomaco, mi sudano le mani e sento una fitta al cuore, è un dolore insopportabile e troppo forte da descrivere. Lei invece, non prova più niente… lo vedo e lo sento. È completamente anestetizzata e posseduta dalla droga che ha rubato i suoi anni più preziosi. Io ci provo ogni volta a parlarle, a spiegarle il mio dolore e la mia preoccupazione. Cerco molte volte di mettermi nei suoi panni, lei invece non è mai riuscita a mettersi nei miei. Questa non è mia figlia, è uno zombie senza cuore e sentimenti. Il nulla mi trafigge e mi vengono i brividi in tutto il corpo. La mia bambina… sapevo che l’avrebbe fatto di nuovo. Spero ogni sera in un cambiamento, di rivedere quei suoi occhi color nocciola brillare di gioia, pieni di energia e vitalità. Perché so che lei è piena di capacità e ambizioni ma questa maledetta sostanza l’ha resa schiava e ha rovinato tutto. La droga si è messa tra me e lei, tra lei e tutto il resto. Ha trasformato la mia bambina in un mostro, un corpo vuoto, freddo e senza emozioni. Così vuota che quando la abbraccio mi sembra di stringere il nulla. Sto per chiederglielo di nuovo: «Sheila, ma perché lo stai facendo, fatti aiutare… ti prego, sei sempre più magra e guarda che occhiaie. Sono sola con te e i tuoi fratellini, non so più cosa fare e come aiutarti». Tanto la risposta è sempre la stessa, tutte le volte: «Dai mamma, non rompere i coglioni, lasciami stare». Con la più assoluta indifferenza e arroganza mi volta le spalle e se ne va, sbattendo la porta, nel cuore della notte. Quel tonfo per me è come uno schiaffo in faccia, perché ogni volta che esce da quella porta penso che non tornerà mai più.  Sarà per me un’altra, lunga notte insonne, senza sapere dove stia andando. Là fuori nella jungla della strada, dove un giorno qualcuno me la porterà via. Ogni giorno vivo con l’ansia e con la disperazione, ogni volta guardo i suoi occhi e penso che potrebbe essere l’ultima volta che la vedo. Ogni sirena dell’ambulanza, ogni chiamata sconosciuta per me è un terrore. Non riesco più a vivere tranquilla e serena perché ogni giorno che passa la preoccupazione aumenta, la speranza svanisce. Perché la droga è come una roulette russa: ogni dose potrebbe essere l’ultima.

Finta libertà

Non voglio sentire niente, la predica di mia madre mi stufa ogni volta. Esco di casa e sbatto la porta più forte che posso. Da un lato mi sento potente perché scappare da quella casa mi fa sentire libera. Dall’altra parte, so che sto scappando da me stessa e so benissimo che sto facendo la cosa sbagliata… ma non m’interessa, tanto non provo più niente, mi sento completamente vuota e risucchiata dalla schiavitù di una sostanza che mi fa stare bene. O meglio, che me lo fa credere. Vivo nell’abitudine di anestetizzare il dolore dentro di me, quel dolore insopportabile che da sola non sono in grado di affrontare. È notte fonda e le stelle brillano, ma questi sono dettagli che ormai non noto più da anni. La notte per me è solo un motivo per drogarmi di più, per nascondere i miei occhi che di giorno riflettono la mia sofferenza. Per un istante la mia coscienza mi parla e mi fa sentire in colpa perché so che cosa sta passando mia mamma, ma allo stesso tempo non mi sento capita da lei e la rabbia e l’orgoglio fanno svanire la mia umiltà. Mi sento soffocare da tutti questi pensieri, dalla realtà che mi circonda, dal freddo secco e pungente dell’inverno che sento dentro, e che da sola mi fa sentire ancora più piccola. Cammino passo dopo passo senza faticare troppo, perché la fretta di farmi fa muovere le gambe da sole. Quella voglia di annullarmi, di stare bene anche solo per un momento, di non pensare a niente e di non soffrire più. Tra un pensiero e l’altro arrivo a destinazione. Suono due volte di seguito per farmi riconoscere e in un batter d’occhio si apre la porta, come se lui già sapesse che stessi arrivando. Varco la soglia dell’ingresso senza dire una parola, mi siedo sul divano, prendo la bottiglia già pronta e ispiro il fumo come se fosse aria pura che non respiravo da tempo. Lo trattengo più che posso finché non sento un fischio rimbombarmi nel cervello e ogni secondo che passa mi sento più leggera. Quando sento il petto che sta per scoppiare, butto fuori pian piano tutto il fumo e mi lascio trasportare da questa sensazione indescrivibile, quella finta libertà che in fondo ti tiene incatenato. Ma l’effetto dura troppo poco, o ti fai un’altra dose o fai i conti con la realtà. La mia realtà mi fa troppo male, perché non riesco a perdonarmi per quello che sto facendo alla mia famiglia, ma non riesco neanche a smettere, perché affrontare me stessa e il mostro che ho dentro mi spaventa troppo. Non voglio chiedere aiuto, perché penso di cavarmela da sola, ma in fondo so che me la racconto e che invece di nuotare sto annegando. Penso a mia madre, a mia sorella, a mio fratello. Al lavoro che ho perso, a questo tipo che mi offre la coca ma in cambio si prende la mia anima. Penso a me e al mio futuro ma non faccio neanche in tempo a sentirmi in colpa che lui già mi ha preparato il prossimo tiro. Senza pensarci due volte chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e con la speranza di annullare tutti i miei pensieri ricomincio da capo.

Dov’è Sheila?

Sento scricchiolare la porta, apro gli occhi e uno spiraglio di luce illumina il mio viso. Per un attimo penso che sia mattina presto. Guardo fuori dalla finestra, mi rendo subito conto che è piena notte, per l’esattezza le tre. Io e il mio fratellino stiamo dormendo tranquilli e beati. Mamma entra nella stanza, mi dà un bacio in fronte e mi sussurra di alzarmi e vestirmi. Sto per chiedere il perché ma non faccio neanche in tempo a finire la domanda che lei è già uscita dalla stanza. Mi alzo più in fretta possibile e con un leggero tocco sveglio il mio fratellino, gli bisbiglio di vestirsi e senza fare domande seguiamo la mamma nell’ascensore che porta giù nel garage e poi in macchina. Gira la chiave, si accendono i fari e nel silenzio tombale della notte rimbomba il ronzio del motore. Senza che lei dicesse nulla, ho già capito che si tratta di Sheila. È successo qualcosa, stiamo andando a cercarla. Succede molto spes18 so che mia sorella sparisca nel nulla, e a volte non torni per giorni. Vedo la mamma preoccupata, disperata e tormentata dal pensiero di dove potrebbe essere finita. Anch’io a volte me lo chiedo, ma cerco di non farmi troppe domande alle quali non troverò mai la risposta. Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dai singhiozzi di mamma, che sicuramente si trattiene da molto tempo ma non ce l’ha più fatta ed è scoppiata. Sto morendo dal sonno, sono scomoda e vorrei sdraiarmi. Da una parte voglio tanto bene a mia sorella, dall’altra la odio perché trovo così ingiusto che a sette anni io debba sopportare tutto questo. Ho sempre desiderato un esempio da seguire, una sorella maggiore con la quale giocare, che mi viene a prendere a scuola e che mi guarda come se fossi la cosa più importante nella sua vita. Negli occhi di mia sorella invece, vedo soltanto una grande indifferenza e quelle poche volte che torna a casa non mi calcola nemmeno. Fin da piccola ho sempre cercato di inseguirla, di ammirarla, ma lei non è mai stata un buon esempio. Quando le mie compagne si fanno venire a prendere dalle loro sorelle e le vedo felici e sorridenti, mi travolge una sensazione di malessere e tristezza. Anch’io vorrei le sue attenzioni, vorrei essere al centro dei suoi pensieri. So che mi vuole bene, perché lo sento, ma non riesce a dimostrarmelo, è fredda e distaccata. Lei si droga, lo so perché mamma lo dice sempre nei pianti e negli sfoghi che a volte non riesce a trattenere. Non so esattamente cosa sia la droga, ma so che vorrei una sorella diversa, che mi considera e per la quale sono importante. Ho già visto e vissuto troppo. La polizia, le cliniche, la violenza, le urla. E una mamma preoccupata di perdere la propria figlia. Un’infanzia rovinata dalle conseguenze della droga. Una sostanza di cui conosco solo il nome ma che nella mia vita ha un ruolo fondamentale. I miei primi anni di vita sono stati rubati dalla paura, dall’inquietudine, mi sono sempre trovata al secondo posto perché sentivo che tutti rincorrevano mia sorella che non si faceva mai trovare. Ogni ambulanza che passa, ogni notte che non torna, per noi è un incubo senza fine.

La via più facile

Sono sicura che mia mamma mi sta cercando. Là fuori nel buio della notte, nel nulla, mentre io sono seduta qui su questo divano trascurato. A volte mi chiedo perché lo faccio, a cosa mi portano le mie azioni. Sono stanca e stufa di questa vita. A un tratto mi vengono certi ricordi. Delle immagini scorrono nella mia testa e mi torturano fino a farmi venire i brividi. Cerco di scacciare i brutti pensieri ma poi lo vedo, questo uomo sdraiato sul materasso per terra che dorme. Dorme cosi profondamente che sembra quasi morto. In fondo era morto già da tempo, morto dentro un involucro di pelle e ossa, uno scheletro vivente senz’anima che come me ha messo al primo posto la sostanza. Eppure sto con lui, forse perché non so dove andare. O forse perché sono un po’ come lui. Sul tavolino e per terra è tutto sporco, pieno di tabacco e cenere. I portacenere sono colmi e lasciano un odore marcio di bruciato, che mi ricorda l’odore dell’inferno. Per terra è pieno di macchie, sangue, birra e chissà che altro. A un tratto squilla il telefono. È mia madre. L’ansia mi assale e il senso di colpa mi travolge, mi mangia dentro e mi uccide lentamente. Non ho il coraggio di rispondere, né tanto meno la voglia di spiegarle. Sicuramente è preoccupata ma in questo momento non me ne frega niente di parlare con lei, la voglia di farmi è troppa e non ho la forza di affrontare un discorso con mia madre. A volte la odio perché è pesante e invadente, ma nel profondo della mia coscienza so che mi vuole davvero bene. Non voglio accettarlo, forse perché mi fa più comodo pensare che la mia famiglia sia la strada. Lo dico talmente spesso che ho iniziato a crederci. L’angoscia e il tormento mi stanno rubando il respiro e senza pensarci due volte mi alzo, prendo il mio zainetto e me ne vado. Esco di casa in questa notte oscura, su queste piccole stradine del mio paese dove ogni vita sembra persa. Anch’io mi sento persa, quel brivido della criminalità nella quale sto vivendo è l’unica cosa che mi è rimasta. Quel pizzico di follia, quell’adrenalina chimica. L’unico obiettivo è farmi quella polvere bianca per dimenticare e sopprimere quella sensazione di vuoto che sto provando dentro. Penso ai miei fratellini e trattengo le lacrime mandando giù il nodo che ho in gola. Gli voglio troppo bene, vorrei essere un esempio per loro e accompagnarli nella loro crescita perché sono ricordi che rimarranno per sempre. Ma non ci riesco, perché ogni volta che torno a casa mi sento così sbagliata e in colpa che fuggo via. Perché nascondermi dietro la droga è più facile. Ho sempre cercato di scappare dalle fatiche, di trovare la via più semplice e la strada più breve. Ma so benissimo che un giorno non potrò più scappare, perché il dolore non è qualcosa che m’insegue. Quella realtà, però, è ancora seppellita nel profondo di me stessa.

Articolo di Sheila tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 58 luglio 2021
Per scoprire come riceverlo: https://www.sanpatrignano.org/sostienici/sanpanews-voci-crescere