Lacrime di gioia

Venerdì sono andata a trovare mia sorella, dopo cinque mesi di lontananza. Oggi è domenica e ancora non riesco a spiegare cosa sento. Se provo a tirare fuori parole escono solo lacrime, piango di continuo. Non ho mai provato un groviglio di emozioni simile a quello che mi riempie il petto in questo momento: sono tutte nuove e diverse tra loro. Cerco di razionalizzare, ma non riesco a raccontarle, quindi provo a scrivere. Magari la scrittura riesce a dipanare un po’ questa nebbia che ho in testa

Sono appena arrivata a casa. Le persone mi stanno già tempestando di telefonate. Tutte vogliono sapere com’è andato il nostro incontro: cosa ho provato, cosa sento e cosa penso ora. Io, però, non so spiegarlo. L’unica cosa che mi sento di dire è che è stato bellissimo. Cerco di ripercorrere la giornata. Non riesco a fermare la testa. Piangevo di gioia, una gioia che forse non avevo mai provato. Non mi capita spesso di piangere, di solito lo faccio quando arrivo al limite. E allora scoppio. Ma piango sempre da sola, in silenzio. Piango principalmente per tristezza, rabbia, stanchezza o sconforto. Di gioia mai. Eppure stava accadendo e non riuscivo a fermarmi. Mi sentivo come se stessi spurgando un liquido marcio, come se mi stessi depurando dallo sporco. Come se quelle lacrime lavassero tutti gli anni di sofferenza incrostati sulla mia pelle. Ma questo lo penso ora, lì per lì piangevo senza capire, senza farmi troppe domande. E poi piangevo perché provavo la gioia più grande della mia vita, vedendo la persona che mi aveva provocato la sofferenza più forte. S Venerdì sono andata a trovare mia sorella, dopo cinque mesi di lontananza. Oggi è domenica e ancora non riesco a spiegare cosa sento. Se provo a tirare fuori parole escono solo lacrime, piango di continuo. Non ho mai provato un groviglio di emozioni simile a quello che mi riempie il petto in questo momento: sono tutte nuove e diverse tra loro. Cerco di razionalizzare, ma non riesco a raccontarle, quindi provo a scrivere. Magari la scrittura riesce a dipanare un po’ questa nebbia che ho in testa Lacrime di gioia testo a cura di Valentina Lisi 22 52 storie Le sofferenze. Costanti. E apparentemente infinite. Com’è possibile? Che cosa vuol dire? Ha importanza? Stavo piangendo di gioia e dolore nello stesso momento. Dalla gioia alla rabbia. Una rabbia feroce per tutti quegli anni di dolore che si potevano evitare, che lei si poteva evitare. Piangevo perché vedevo la persona che avrebbe potuto essere, e quella che io avrei potuto essere. Piangevo perché io sono così e lei è così, perché io sono qui e lei è là. Piangevo perché per la prima volta avevo conosciuto mia sorella: ci avevo parlato, l’avevo guardata negli occhi. E stavolta non negli occhi della droga, ma nei suoi veri, limpidi, enormi occhi penetranti. Piangevo perché quegli occhi mi leggevano l’anima, come i miei leggevano la sua. Perché ci eravamo appena ritrovate e già dovevamo separarci di nuovo. E piangevo perché avevo dovuto aspettare 24 anni per avere davvero una sorella maggiore. Adesso finalmente ce l’avevo. E non una sorella qualunque. Una persona profonda, complessa, fragile ma forte, estremamente intelligente, sensibile ma molto difficile. Una persona in fondo molto simile a me. Com’era possibile? Dopo essere state separate da quella voragine incolmabile creata dalla droga, ora ci ritrovavamo ad essere all’improvviso così vicine. Che cosa ingiusta. Che cosa meravigliosa. Quante emozioni sconosciute e forti. Troppo intense e intricate per essere tradotte e comunicate in semplici parole. E piangevo perché, per la prima volta, le avevo parlato senza avere dubbi su di lei, sulle sue intenzioni, sulle sue emozioni. Senza mai pensare che stesse parlando per vie traverse, senza sospettare secondi fini. Un dialogo fluido e scorrevole e, allo stesso tempo, profondo e sincero come mai avevo avuto con altre persone. O forse sì, ma questo aveva un valore diverso. Era limpida, diceva solo e soltanto quello che pensava, senza controllare ogni singola parola come faceva prima, senza controllare cosa fosse o non fosse giusto dire. Perché, alla fine, sapeva benissimo che non ci sarei mai cascata, l’ha sempre saputo che non mi poteva ingannare, ma lo faceva comunque. Era l’unico modo che conosceva, semplice istinto di sopravvivenza. Una sopravvivenza durata vent’anni. Forse stavolta aveva ingannato anche me? Il dubbio mi ha sfiorato, non lo nego. Ma non mi è interessato. Quello che ho vissuto è reale, così reale che ancora non conosco le parole per esprimerlo. Non avevo mai creduto potesse succedere. Mi ero imposta di non sperare mai, per non soffrire. Ora avevo una nuova speranza, ma anche una paura fottuta. Terrore. Perché sperando, sapevo che rischiavo. Ero scoperta, indifesa. E piangevo perché, accanto a questa gioia, a questa speranza che mi ridava respiro, al terrore di avere un’ennesima delusione, la paura di prendere uno schiaffo in faccia mi faceva mancare il respiro. Mi terrorizzava l’idea di sperare che tutto andasse bene. Ma perché no? Mi capita ancora di avere timore che tutto possa tornare come prima. E allora penso a lei. Alle difficoltà che ancora sta affrontando e alla forza che sta dimostrando. Ce la farà, ne sono sicura. Nonostante assenze e rapporti mai coltivati, lei ora è in grado di esprimere le sue Piangevo perché quegli occhi mi leggevano l’anima, come i miei leggevano la sua. Perché ci eravamo appena ritrovate e già dovevamo separarci di nuovo. E piangevo perché avevo dovuto aspettare 24 anni per avere davvero una sorella maggiore 23 emozioni senza vergogna, senza freni. E io no. Perché? A Sanpa te lo insegnano, ti aiutano a tirare fuori te stesso, a guardare chi sei. E invece a chi è fuori, nel mondo, nessuno insegna a vivere la vita. Sono tutti troppo impegnati, di corsa, con l’ansia e l’esigenza di velocizzare e sintetizzare anche le cose più importanti, cose a cui andrebbe dedicato tutto il tempo possibile. Io e mia sorella siamo simili: entrambe troppo profonde, sensibili ma chiuse e maniache del controllo. Controllo di ogni cosa, soprattutto di noi stesse e delle nostre emozioni. Eppure lei sta riuscendo a cambiare, ad aprirsi in modi che forse io non ho mai nemmeno pensato. Ne sono così felice e impaurita allo stesso tempo. E piango, perché per la prima volta provo un po’ di invidia. Ci rendiamo conto? Non mi è mai successo. È un sentimento che mi è proprio estraneo. Eppure la sento per una possibilità che a pochi capita: quella di fermare la propria vita per qualche anno e rimettere tutto a posto, di approfondire legami altrimenti destinati a restare in superficie, di solidificare o ricreare rapporti che prima erano fragili, di andare a fondo delle cose come nessuno fa mai. E sono anche un po’ gelosa perché io ci sono sempre stata per tutti, facendo il mio dovere e cercando di essere sempre la versione migliore di me stessa, eppure ora è lei che sta aiutando tutti noi ad avere le stesse sue possibilità. È proprio così. Nonostante abbia vissuto vent’anni da tossica, provocando sofferenze immani a tutta la famiglia, ci sta offrendo una via alternativa, un’occasione per guardarci dentro, per migliorarci; un’occasione di vivere la vita, le persone, i legami in maniera più profonda. Era stata lei a gettare le fondamenta per un rapporto più vero con mia mamma, mio padre, e anche con me. Io ci sono sempre stata ma, come al solito, in superficie. Non sono mai stata in grado di vedere oltre. Ma lei sì. E allora piango, perché le sono grata, immensamente grata per ciò che ci sta regalando. Nonostante tutti gli anni schifosi e i patimenti, lei ci sta donando qualcosa cui noi, altrimenti, non avremmo mai avuto accesso. Ci sta invitando a guardarci dentro e a guardarci a vicenda, ma non per un attimo, a lungo, in profondità. E scoprirci, conoscerci, ancora e ancora, non dandoci mai per scontati. Piango perché in questo momento vorrei abbracciarla, e ringraziarla, e piangere. Tenendole la mano.

Valentina
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” n° 70 – luglio 2022