Ormai erano passati un po’ di mesi da quando ero stata operata al cuore. Avevo fatto un po’ fatica a riprendermi. Ho rischiato di morire nel giro di ventiquattro ore, ed è stato tutto troppo veloce per riuscire a metabolizzarlo in così poco tempo
Fino a quel giorno non avevo mai pensato alla morte. Non pensavo che sarebbe potuto capitare a me. Erano già otto anni che mi facevo di eroina, avevo passato mille situazioni rischiose, molte delle quali proprio cercate. E mi era sempre andata bene. Avevo trascorso mesi per strada, trascinandomi per la città in cerca di una busta, dormendo con i barboni sui marciapiedi, senza una meta. E quando poi, presa dalla stanchezza, avevo deciso di tornare a casa per disintossicarmi.. PUFF! Come per magia mi scoprono un problema al cuore, una massa sulla valvola mitralica. Ho sempre pensato che era tutto ‘scritto’, un segno del destino per farmi fermare a riflettere. Fra operazione e riabilitazione sono stata più di due mesi in ospedale. E anche quando sono tornata a casa, avrei dovuto stare attenta. Avrei dovuto riprendere cautamente la mia routine, e soprattutto me ne sarei dovuta inventare una nuova, fuori dalla droga e dalle compagnie sbagliate. Avevo smesso da troppo poco di usare sostanze, ne sentivo già la mancanza, avrei voluto rifarmi subito. Anzi, non avrei mai voluto smettere. Qualcosa nella mia testa, però, non mi stava facendo andare avanti. Provai a ricontattare vecchie amicizie, quelle “sane”, che studiavano e uscivano solo il weekend. Insomma, persone normali alla fine. Riuscii a uscirci per un po’ di mesi, anche se all’inizio mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Avevo sempre parlato e fatto tutt’altro, avevo frequentato persone ben diverse da quelle: era una situazione nuova per me, che non mi faceva sentire a mio agio per niente. Persone con cui dovevo scambiare idee, che mi chiedevano cose, tante ragazze con cui confrontarmi, troppe parole. Avrei dovuto espormi troppo. Non volevo continuare così, la normalità non era una cosa che mi apparteneva. Non potevo ricominciare a uscire con le mie vecchie compagnie, mi sarei subito rifatta. Dovevo darmi un attimo di tempo e tutto si sarebbe risolto, sarei riuscita a sciogliermi e a fare mio quello stile di vita. Almeno per un po’, dovevo stringere i denti. Le volte che andavamo nei locali spesso stavo male: sentivo che qualcosa dentro di me non andava. Tutte le volte che stavo a contatto con qualcuno, tremavo. Pensavo che fosse l’ansia di stare con nuove persone, ma alla fine non era possibile che stessi così male per questo. Non riuscivo a stare nei luoghi chiusi, e le volte che andavamo a ballare mi venivano sempre attacchi di panico. Eppure al cuore non avevo più nulla, anche i medici mi avevano assicurato che il funzionamento in sé non c’entrava niente con quello che avevo avuto. Io, però, continuavo a sentirmi soffocare tutte le volte. Non volevo riprendere a drogarmi, e allora trovai una formula alternativa, quella che pensavo fosse meno dannosa: l’alcool. Iniziai a bere, e ripresi anche a fumare, anche se i medici mi avevano detto di non farlo. L’alcool non mi piaceva, fino a quel momento c’era sempre stata solo l’eroina, non avevo mai sentito il bisogno di fare altro. Mi diede improvvisamente quella disinvoltura che mi stava mancando: iniziai così un periodo in cui cominciavo a bere già dalle prime ore del pomeriggio, ignara del fatto che l’abusarne mi avrebbe potuto riportare sulla vecchia strada. Dopo un mese neanche mi rifeci di eroina. Si dice che le ricadute siano sempre peggio. Posso confermarlo. Da quel momento, nonostante l’operazione al cuore, ho continuato quel tipo di vita per altri sette anni. Più andavo avanti, più diventavo grande, più in teoria avrei dovuto pensare alla mia salute e smettere con quella vita. Avevo sempre più responsabilità e cose da gestire, ed ero stanca, non avevo più 18 anni per potermi permettere di vivere ancora in strada spensierata. Non potevo più fare quel tipo di vita annullando tutto il resto. Le responsabilità mi schiacciavano, ogni giorno di più. E, ogni giorno, me ne rendevo conto ma senza riuscirne a uscire. Ormai ero entrata in un circolo vizioso mortale: mi facevo tutti i giorni per affrontare la normalità, e quando mi facevo ero normale, niente più mi creava euforia o spensieratezza. In più, convivevo con il fallimento di aver già percorso quel tipo di strada e di aver già toccato il fondo. Quindi, ad oggi mi chiedo: dove pensavo di poter arrivare ancora? L’operazione l’ho rimossa fino a quando non sono entrata in Comunità: ho iniziato a ricordarmi i particolari solo dopo un po’ di mesi che ero a San Patrignano. Forse, dentro di me, ho sempre sperato che una cosa così grossa mi facesse perlomeno riflettere sul valore della vita; il fatto di averla subito accantonata, invece, mi fa pensare che sapessi già che ci sarebbe voluto ben altro per fermarmi. Ho dovuto perdere tutto prima di capirlo e darmi un freno. Sono riuscita a chiedere aiuto solo a 30 anni. Ero ritornata in strada, prima di entrare, esattamente come i mesi prima dell’operazione e come quando avevo diciasette anni. Ma alla fine ho scelto di chiudere quel cerchio e di iniziarne uno completamente nuovo, dove tutto è meravigliosamente semplice e normale.
Articolo di Valentina Lisi tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 69 giugno 2022
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