Senza senso

Non pensi mai prima di buttarti giù. Non puoi. Se ti ricordi di averlo fatto, è una bugia, un inganno della tua mente. “Effetto Mandela”, in termine tecnico. Prova a ripensarci, se vuoi. Non guardi mai giù dal burrone, prima di lanciarti

E’ difficile credere quanto sei riuscita a distruggere. Credere che davvero siano tutte mie, queste macerie che vedo intorno a me. Il tempo è passato, veloce e doloroso come il vento freddo dell’inverno ma qui non è cambiato niente. Una parte di me resta distrutta per sempre, e questi sbuffi gelidi hanno asciugato le mie lacrime ma non hanno portato via i cocci. Se ne vanno solo le briciole di ciò che hai cancellato, ricordi troppo lievi per restare a farmi male, e la calma polvere che s’era appoggiata su ogni cosa, qui intorno. Riflettere non serve a molto, anzi è deleterio, ma ora di tempo ne ho tanto. Le persone che ho intorno mi fanno forza, e nel frattempo mi ripetono che devo star bene, trovando il coraggio per ricostruirmi. “La tua felicità dipende da te”, è vero. Non posso più tornare indietro. Ci sono tante cose che non posso fare, non posso certo tornare indietro e parlare a me stesso, spiegarmi che “guarda, Fede, ti farai solo del male”. Non ha senso, come la maggior parte dei pensieri che faccio, in questo periodo. Non solo perché non posso farlo: non ha senso perché sono sicuro, non mi ascolterei, come non ho ascoltato gli altri, in quel momento della mia vita. Guarda che poveretto: vaneggio come un pazzo e parlo da solo, resto incantato nei miei viaggi, gli altri mi guardano straniti ma ora sto troppo male per curarmene. Con tutta l’intelligenza che pensavo di avere, guarda qua, Fede: sei di nuovo a questo punto. Solo a questo sono arrivato. E tutto quello che ho vissuto quando c’eri, non ha avuto senso. Devo essere sincero, devo farlo a questo punto: non sei tu la causa di tutto. Non pensi mai prima di buttarti giù. Non lo hai mai fatto, non avrebbe senso. Non è colpa del precipizio se non pensi a ciò che stai facendo, né dell’altezza che attrae l’ombra dell’anima. A non avere senso è quel tuo trovarti lì. È il motivo che ha mosso i tuoi passi fino a quel bordosenza che le persone che ci tengono a te lo venissero a sapere. È per questo che scruti il vento, fingendo di ascoltare il suo sibilare, un rumore sordo che ti tappa l’orecchio che hai nel petto, per non sentire domande che pesano troppo e che da una vita cerchi di rifuggire. Non so se stavolta troverò il coraggio di affrontarmi, di risolvere il mio grande problema, anche se so che stavolta devo. Quello che so, è che devo fuggire da te. Sei veleno nel corpo di un dromedario, che nella sete del deserto si è abbandonato alla lussuria di una fonte marcia, corrotta, contaminata; un animale instancabile e imperterrito, che consapevolmente ha bevuto, pensando che l’acqua fresca che portava dentro di sé potesse mitigare quei sorsi così amari, ma così dolci. Ti sei presentata come un’immensa luce ma sei un’ombra cupa, il tuo nome è un miraggio e un’illusione, grande come tutto il deserto, ma lo scemo sono io che pensavo di poter gestire tutto, che pensavo magari di riuscire a fermarmi senza farmi male, senza perdere pezzi per strada. Guardami adesso, stagnante e secco in questo solito posto, con i buchi nel petto e le macerie intorno. Non sapendo che fare, seguo persone che mi amano e che vogliono il mio bene, perché non vedo a un palmo dal naso. Sarà l’assenza tua e di ogni altra cosa inutile, che mi fa sentire in bilico, mi fa camminare in equilibrio in questo spazio piatto e vuoto, dove non vedo il senso di niente. E quello che mi fa male, lo ammetto, è che mi manchi da impazzire. Vorrei dire quello che dicono queste persone buone, intelligenti, giuste. Vorrei dirti che sei una merda. Che mi fai schifo, per quello che mi hai fatto e per quello che hai fatto a chiunque, perché non dovresti esistere. Vorrei dirti che sto bene, che ho un’altra vita, che ho dimenticato tutto. Vorrei mi vedessi laureato, abbracciato alla mia famiglia, al volante di una macchina spider abbracciato a una ragazza, in viaggio verso i posti che ho sempre sognato e che per fortuna posso ancora andarmi a prendere. Sogno di girarmi di scatto, di vederti nella mano di qualcun altro, solo un secondo, e di pensare solo “poveretto lui”, mentre mi giro distratto dal tavolino del bar. E vorrei essere sicuro che notandoti sorriderei e basta, con una falsa malinconia, per rigirarmi verso i miei amici che mi chiamano ad alta voce, scherzando con le mani e abbracciandomi. Sono convinto che queste parole siano davvero quello che voglio e quello per cui lotto oggi. Perché è giusto, perché dovrei meritarmelo e andarmelo a prendere. Eppure quello che sento è diverso. Ed è per questo che sto male. Perché anche se mi fa male, vorrei averti qua. Vorrei guardarti ancora un minuto. Avrei ancora qualcosa di cui parlarti, qualcosa che non ti ho detto. Sono sicuro che ho ancora qualcosa di mio che posso darti, che ti può servire. Vorrei parlarti di qualcosa di mio, qualcosa che non direi a nessun altro. Vorrei semplicemente perdermi nelle tue braccia e piangere, perché sarebbe un pianto dolce, uno di quelli che fai sotto le coperte, senza pensare per forza a domani. Che schifo che mi fai. Mi fai schifo perché sei l’unica cosa di cui avevo bisogno e mi hai insegnato che non devo aver bisogno di niente, per esistere, per camminare e per mangiare, per lavorare e per ridere a crepapelle. Ma fa così male impararlo adesso, perché mi hai ucciso per spiegarmelo, e perché dovevo già saperlo a quest’ora. Stavo per perdere tutto e tutti, pur di continuare a tenerti con me. Ma soprattutto, mi fai schifo perché nonostante ciò che ho appena detto, conserverò sempre dentro di me quella falsa speranza: “Avrei potuto farcela a vivere con te”. Oggi mi aggrappo a tutte le emozioni negative, al rimorso, ai sensi di colpa, all’odio, all’ennesima voglia di sparire e alla noia di ogni minuto che vivo, per ricordarmi quanto sia sbagliato passare anche solo un secondo con te. Starti vicino è stato il più grande sbaglio che abbia mai fatto, nonostante tutto. Perché se non me lo ripeto, muoio. Se non me ne convinco, fidati, torno. Se non smetto, questa volta non avrò più il coraggio di guardare in faccia nessun altro. E scrivo per essere onesto nei miei confronti, per non dimenticare. Per dare una forma alle cose di cui non parlo, alle motivazioni che mi attraggono a quel luogo, di fianco casa mia, a due passi dalla mia macchina. Scrivo per piangere forte, per sputare via questo silenzio di piombo. Per poter rileggere con attenzione, tra qualche anno. Per ricordare il tuo odore un’altra volta, solo per un attimo, e poter ripetere: “Sarà sempre bello. E non avrà mai senso”. Dovrei proprio chiamarti “eroina”.

Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” n° 74 – novembre 2022