Esiste un sentiero a Canzo, vicino a Como, abitato da creature intagliate nel legno, emozioni e momenti dedicati a guardarsi dentro. Questa è la storia di Giorgio che è stato mandato dalla famiglia nel piccolo borgo comasco, nella trattoria della zia. Giorgio è un ragazzo che vive nella paura del giudizio degli altri e trova conforto solo quando, nella più totale solitudine, intaglia il legno
Ho messo sulla mensola sopra al letto la statuetta in legno che avevo appena finito di intagliare. Qui sei la prima, ho pensato e l’ho accarezzata. Avevo lasciato le altre creaturine dai miei genitori. Mia zia è entrata nella stanza, i capelli marroni raccolti e la parannanza sporca di sugo. “Ho bisogno di una mano in sala”, ha detto. “No”, ho risposto. “Non è una domanda, vieni ad aiutarmi!”. Mi ha lanciato un grembiule ed è uscita lasciando la porta aperta. Sono andato verso le scale, la traversa stretta in mano. L’ultimo scalino di legno e ho visto i tavoli pieni di sguardi e risate. Ho sentito la fronte inumidirsi, le gambe irrigidirsi e le mani tremare. Conta fino a dieci, ho pensato. La bocca secca, uno, due. Ho accarezzato il legno del mobile dei bicchieri, tre, quattro. Ho lanciato il grembiule e le gambe hanno cominciato a muoversi da sole. Sono uscito dall’ingresso, l’urlo di mia zia, l’erba sulle scarpe. Ho corso più veloce, attorno a me la natura non aveva più alcuna definizione, macchie marroni e verdi. All’improvviso sono finito per terra, un forte dolore alla caviglia. Ho notato tra i tronchi degli alberi degli sguardi, bocche aperte e respiri. “Chi siete?”, ho urlato. “Lasciatemi stare!”. Ho chiuso gli occhi e ho ricominciato a contare. Cinque, sei, sette, li ho riaperti. Erano ancora lì. Mi sono alzato da terra, barcollavo, così ho preso la pietra vicino al piede. Mi sono trascinato verso uno di quelli, gli ho puntato il sasso nella gola. Lui ha continuato a sorridere, immobile. “Perché non reagisci?”, ho urlato. La voce mi si strozzava nella gola. Ho lasciato cadere la pietra e sono scivolato addosso a quell’essere. Otto, nove. Respira, ho pensato. Dieci. Ho sentito che era liscio e in alcuni tratti scheggiato. Mi è scappata una risata. “E io avevo paura di te?”. Ho continuato a ridere. “E quindi siete tutti così? Anche tu lì in fondo? Siete come il mio legno”. Ho preso il coltellino dalla tasca e ho sistemato alcune delle parti scheggiate alla creatura che avevo davanti. “Dimmi se ti faccio male. Ma sai parlare?”. Ho appoggiato l’orecchio sul petto della creatura. “Tu il cuore ce l’hai. Nella mia vecchia camera ho intagliato degli esseri simili a voi, però più piccoli. Non sono mai riuscito a metterci dentro il cuore, forse è per questo che invece tu riesci a parlare”. Gli ho sistemato la barba, gli occhi e le guance. “Come funziona in questo posto? Siete come una famiglia, ho capito. Io sono di Milano, sono arrivato una settimana fa”. Gli ho fatto qualche ritocco anche al naso. “I miei genitori?”, ho continuato. “Penso non mi vogliano più bene. Ma li capisco, si vergognano di me”. Mi sono trascinato verso un’altra creatura e le ho lisciato le orecchie. “Voi mi sembrate diversi. Sorridete sempre, nella mia famiglia sono tutti arrabbiati. Hai detto che ti piacciono i miei occhi? Non me lo aveva mai detto nessuno”. Sono tornato dal primo essere e gli ho accarezzato una guancia. “Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami”, gli ho detto. “Io sono Giorgio. Anche tu ti chiami come me? Da qualche parte ho sentito che questo si chiama destino. Tu credi nel destino Giorgio?”. Sono rimasto a guardargli il sorriso, ho tirato gli angoli della mia bocca con le dita, ma non riuscivo a farli rimanere in su come i suoi. Ho preso un ramo grosso per terra e ho intagliato un cuore. “Giorgio insegnami a mettere questo dentro al petto, voglio imparare a essere felice, come te”.
Luna
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” n° 72 – settembre 2022