Lontana dal mio centro

Giudicata. Mi sono sentita così per troppo tempo. Per il colore della mia pelle, i capelli ricci, il mio carattere introverso e solitario. Non piacevo agli altri. Soprattutto non piacevo a me stessa

Volevo essere un’altra persona, ma non ci riuscivo. E allora ho preso le distanze da chi ero, dal mio centro, anche da quella parte di me che non era poi così male: la mia naturale inclinazione a voler trovare il lato buono delle cose. Per farlo non potevo essere lucida, non ce l’avrei mai fatta. Ho iniziato a bere e a drogarmi. Mettevo la vodka nelle bottigliette d’acqua da mezzo litro e andavo a scuola. Prima di entrare me la scolavo quasi tutta. In alcune materie continuavo, nonostante tutto, ad essere la prima della classe. In filosofia, greco, latino. Prendevo voti altissimi. Ero brava, eppure dentro mi sentivo morire. Con i compagni non andava per niente. Tra dispetti e prese in giro mi escludevano sempre e i pochi amici che avevo erano come me, incapaci di reagire. Non sono più riuscita a distinguere nulla. Ero sempre confusa e al giudizio dei miei coetanei se ne è aggiunto un altro, ancora più spietato: il mio. Mi odiavo, non mi piacevo. Non mi piaceva il mio corpo, non mi piacevano le emozioni che provavo, i sentimenti che avevo. Avevo l’urgenza di scaraventare tutto il più lontano possibile. Bere non bastava più. Avevo dentro qualcosa di troppo doloroso, acuto. Non riuscivo più a sopportarlo. Mi servivano anestetici potenti per un tormento che ormai nessun affetto riusciva a placare. I miei genitori sono medici e frugando negli armadietti dei medicinali un giorno trovai il contramal, un blando oppiaceo. Avevo sedici anni. Da quel momento non ho più smesso. Codeina, ossicodone, morfina, fentanil. Li ho provati e usati tutti. Li conoscevo a tal punto che sapevo esattamente su quale recettore del dolore agissero. Il fentalin è stato il mio grande amore. Ero distante e a me andava bene così. Non ero più partecipe, non ero coinvolta in niente, non soffrivo. Non amavo. Quando le scorte dei medicinali sono finite, ho iniziato ad autoprescrivermeli. Dopo un po’ mi hanno beccata ed ho rischiato di mettere in ginocchio il futuro della mia famiglia. Non ho smesso di usare il fentalin, ma ogni tanto, nei pochi momenti di lucidità, affiorava il mio senso di colpa, ed era così forte che volevo solo affogare e cercare la morte anche se ero viva. Avevo fatto di tutto per non soffrire. Mi sentivo l’unica incompresa, ma la verità era un’altra. Ero un’egoista, pensavo di essere la sola a provare dolore e alla fine mi sono distrutta con le mie mani. Ero diventata l’ombra di me stessa, il fantasma di me stessa. Non credevo più in niente, ma qualcosa è successo, una forza inaspettata mi ha fatto reagire e ora sono a San Patrignano. Continua a pesarmi il giudizio degli altri e mi capita di sentirmi sbagliata. Ma ora riesco a superare le mie crisi. Amo la vita, la mia vita, la sento parlare. Sento chi sono, sono nel centro del mio cuore. Sono mulatta e sono la figlia di due cuori, spiritualmente ricca. Ho i capelli ricci e crespi come quelli di Aretha Franklin e se sono così introversa e solitaria è perché voglio sprofondare nelle radici del mio essere, senza averne paura.

Ivana
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” n° 72 – settembre 2022