Sempre insieme

Eravamo sempre insieme, io e mio fratello. Io combinavo un sacco di casini, mentre lui era quello buono. Così buono da volermi sempre bene, da non dirmi mai di no. Così buono da venirmi sempre dietro

Avevo appena compiuto diciotto anni. Sapevo che non era normale il mio modo di vivere, ma in fondo niente intorno a me era normale. Il lavoro, le canne, l’alcol, e adesso anche la cocaina. Volevo semplicemente continuare ad andare avanti a modo mio. E volevo farlo con te, come sempre. Fino alla fine. Era quello che ci avrebbe resi “inseparabili”. È per questo che non mi sono sentito poi così in colpa, quella sera, quando ti ho dato la tua prima pasticca. Era da quando eravamo piccoli che ci sentivamo così. I litigi in casa, papà che beveva sempre. Tu eri piccolo, ma io mi ricordo tutto. Avevo sei anni quando ci siamo trasferiti a San Benedetto, in quella casa lontani da tutto. Lì non avevo i miei amici, le mie abitudini. Passavo tutti i pomeriggi con te. In effetti ti torturavo un po’, ma ti volevo bene da morire. Tu eri molto tranquillo, quasi solitario. Ricordo che ti mette vi spesso a giocare da solo con i lego e stavi lì per ore. Alle medie mi sono allontanato da te, anche se forse è normale. Nella nuova scuola ritrovai tutti i miei vecchi compagni, però in me si faceva sempre più forte il desiderio di sentirmi più grande di quello che ero. Ho iniziato a fumare le sigarette di nascosto, ricordo che le rubavo in casa a papà, e da solo andavo in una stradina vicino a casa e fumavo. Non sono sicuro, ma credo fosse stato un modo per fare un torto a papà e allo stesso tempo per farmi grande con i miei amici. Avevo conosciuto Mirco, te lo ricordi? Uscivo la sera, ho preso le prime sbornie. Un giorno abbiamo staccato la porta del bagno e l’abbiamo nascosta, un altro abbiamo scarabocchiato tutta una parete, potrei stare qui ore per raccontarle tutte. Non facevamo altro che fare scherzi e casini. Ma alle superiori è cambiato tutto. Ho conosciuto Massimiliano, il figo della scuola, quello che ogni giorno si presentava con una pettinatura diversa, quello che era sulla bocca di tutti, anche di quelli più grandi. Sapevo che fumava le canne, non ero uno sprovveduto. La voglia di essere come lui era tanta e quindi, per non essere da meno, mi sforzavo di essere la persona che non ero: sono entrato nella sua compagnia, andavo sempre meno a scuola, facevo sempre più casino. Volevo far parte di quel mondo a tutti i costi, non importava quali prove avrei dovuto sostenere. Non ci pensai neanche due volte, quando Massimiliano mi passò una canna e mi chiese se volessi fumare. Sapevo che era una cosa sbagliata, avevo paura, timore, ma non bastò a farmi riflettere, così fumai. Nel frattempo  tu crescevi, io mi facevo i fatti miei ma tu stavi prendendo la mia strada, in qualche modo. Quello che mi dava il fumo stava nella nostra palazzina e un giorno siamo finiti in camera sua. Avevi quattordici anni. Tu eri con me, eri esaltato e io lo sapevo. Stavamo fumando e tagliando il fumo. A un certo punto mi sono girato verso di te e ti ho passato la canna. Sapevo che non lo avevi mai fatto, ma sapere che la prima volta lo facevamo insieme, in qualche modo mi tranquillizzava. O forse mi sforzavo di pensarla così. A scuola era un disastro. Mi bocciarono per la seconda volta e questo mi pesò tremendamente, e per alleggerire mi buttai ancora di più su canne e alcol. Quell’estate sono andato a fare la stagione come cameriere, è lì che ho mollato ogni freno. Nell’albergo dove lavoravo giravano coca e pasticche. Erano due o tre giorni che ormai lavoravo incessantemente, l’alcol e il fumo non bastavano più per sostenere quei ritmi. Era la sera di ferragosto ed ero nello spogliatoio dell’albergo. Due miei colleghi stavano stendendo della coca su un cd: “Vuoi?”. Non potevo dire di no davanti a loro, non potevo far cadere la maschera del personaggio che mi ero costruito. Così ho preso i cinque euro che avevano arrotolato e ho tirato. Come per magia la stanchezza sparì, insieme a tutti i dubbi e alle paure. Mi sentivo a mille. E come al solito, con quello che avevo imparato, sono venuto da te, per coinvolgerti. E ti ho messo in mano quella pasticca. Forse non avevamo più il controllo da tempo ma da quel momento in poi è andato tutto male. Sono tornato a scuola, ma ero stato bocciato troppe volte. Ero in classe con mio fratello e i suoi amici. Per loro ero un grande e in poco tempo mi sono trasformato in quello che da sempre avevo desiderato. Poi ho conosciuto Valentina. Lei era bellissima, con lei è nato subito qualcosa di speciale, forte: un qualcosa che non avevo mai provato. Anche lei come me non era una santarellina. Le nostre giornate passavano veloci, la mattina a scuola e il pomeriggio a casa di Pierpaolo, un amico di mio fratello, che faceva il dj. Era una festa continua: musica, alcol, canne, pasticche, un continuo andirivieni di gente. Avevamo trovato il nostro mondo, la nostra tana, dove tutto ci sembrava normale. Ci sentivamo dei ragazzi fighi, che si divertivano “lontani dagli schemi che la società dettava”. Di sicuro non ci sentivamo dei drogati, perché per noi i veri tossici erano quelli che si bucavano, sporchi, trasandati. In poco tempo mi sono trovato sempre seduto in macchina con lei a vendere fumo, fare l’amore e usare l’eroina. Ero geloso e paranoico nei suoi confronti, non trovavo mai pace, e il mio unico pensiero era che lei stava per trasferirsi a Parigi per gli studi. Le cose miglioravano solo un po’ con l’eroina ma non bastava neanche quella. Così decisi di andare con lei. Non ragionavo più, e non lo facevi nemmeno tu, fratellino. Tu nel frattempo avevi lasciato la scuola, avevi anche tu la tua ragazza. E anche tu avevi cominciato a usare l’eroina. Stavolta non avevo nemmeno dovuto insegnarti. Parigi fu la mia rovina. Nella mia città tutti mi cercavano ed ero sempre al centro dell’attenzione. In una grande metropoli ero un’insignificante briciola, non ero nessuno. Non avevo voglia di lavorare e vivendo dalla mattina alla sera con Valentina il nostro rapporto era diventato un litigio continuo. Non che prima fosse meglio, si litigava spesso a causa della mia gelosia e del mio comportamento, ma ora non riuscivamo più a sopportarci. Ci siamo lasciati dopo due mesi. Un vero disastro… ma niente, in confronto a quando mi ha chiamato mamma, per dirmi che ti avevano ricoverato all’ospedale psichiatrico. “TSO”. Ricovero coatto. Eri impazzito a causa delle droghe. In tutto questo io non c’ero. E forse non avrei più potuto esserci per te. Deliravi su teorie allucinanti che riguardavano la vita, disegnavi cose strane sui muri della stanza e anche su te stesso. Era un incubo. Poco tempo dopo abbiamo provato a entrare insieme in una comunità, ma dopo poco siamo scappati insieme e siamo andati a farci. Era paradossale, nessuno dei due voleva fermarsi. Ci odiavamo in fondo, anche se ormai eri l’unico a cui volessi bene. Quella sera, in quella situazione allucinante, ho cambiato idea. Io e te, in macchina, in un parcheggio. Tu asmatico, che fumavi la stagnola e subito dopo usavi lo spray per l’asma e io di fianco a te, che ti guardavo mentre, il mio braccio, legato… Che vergogna. Ero tossico, uno di quelli che schifavo da piccolo. E tu eri lì con me. Quella sera si è accesa la scintilla. Io che ti prendo sottobraccio. Io e te che camminiamo insieme, alle cinque e mezza del mattino. È quasi l’alba. Arriviamo davanti a casa, siamo proprio di fronte alla porta. Suono il campanello e quando si apre la porta la prima persona che vedo è mamma. È come se la vedessi per la prima volta dopo anni. Sembra invecchiata di colpo, vederla così mi fa venire un groppo in gola enorme. Io ti guardo, e forse me lo sogno, ma mi fai un cenno, mi fai di sì con la testa. È lì che ho capito. La voce mi è uscita, senza il mio controllo: “Va bene, mi arrendo. Portaci a San Patrignano”. Gli occhi di mamma si gonfiano di lacrime e scoppia in un pianto che sembra non avere fine. Infatti non era la fine. Era il nostro nuovo inizio. Io e te. Sempre insieme.

Davide
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” n° 74 – novembre 2022