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Come un pesce rosso

Siamo abbracciati sul lettone di mamma. Domani inizierà un nuovo capitolo della nostra vita. Noi, fratelli inseparabili, uniti da un insolito destino.

Gli stringo la mano, lo guardo e ogni volta mi perdo nei suoi occhi verdi, così profondi e misteriosi che non si riesce mai a capire cosa stia provando. Flavio è tutta la mia vita, il ragazzo più strano che io abbia mai conosciuto.

Fin da piccolo viveva a casa mia. La sua mamma, una ragazza madre con il sogno americano nella testa, lavorava tutto il giorno e poi, la sera, usciva con le amiche. Per questo Flavio abitava in pianta stabile da noi. Era come un “fratello” e tutto il vicinato pensava che lo fosse veramente.

Era un ragazzo strano, silenzioso, sempre spettinato, con quella maschera da duro che però in mia presenza riusciva spesso a togliersi per far uscire il vero Fabio: una persona sensibile e divertente.

Io lo chiamavo Gabby, ed anche se il mio soprannome gli stava stretto, non mi diceva mai nulla. In fondo mi voleva più bene di quanto credesse, anche se io non facevo niente per stargli simpatica.

Il suo modo di fare mi faceva arrabbiare, per questo spesso lo trattavo male.

Il nostro rapporto era un’altalena tra amore e odio, forse più ODIO.

Il tempo passava inesorabilmente e noi cambiavamo: i nostri corpi, le nostre sensazioni. Ora eravamo degli adolescenti e lui era bello, bello da toglierti il fiato.

Ora mi sentivo a disagio vicino a Gabby. Quando dormivamo sul lettone di mamma, lui mi abbracciava, mi diceva “ ti voglio bene” ed io rimanevo bloccata come una statua di marmo, sveglia senza riuscire più a dormire.

La mattina dopo tornava tutto come sempre. Tra amore e odio. Per me più AMORE.

Passavamo le nostre giornate girovagando nel quartiere, un quartiere popolare d’immigrati, fra un giro al bar e una sosta al parco a fumare canne e bere birra.

Il sentimento che provavo era sempre più forte, cresceva ogni giorno di più, ma non riuscivo a dimostrarlo a lui e ad ammetterlo a me stessa.

Una sera eravamo ad una festa, ci sbronzammo fino a stare male. Ad un certo punto ci ritrovammo sdraiati su un prato.

E’ stato il bacio più emozionante della mia vita, era come se gli antipodi del mondo si fossero riuniti per diventare una cosa sola, magnifica e spettacolare. Ero su di giri, lo stomaco impazzito e avevo un sorriso stampato sul viso. Insomma mi sembrava di volare.

Ma tutto finì quando i primi raggi del sole fecero capolino dalle montagne.

Nei giorni seguenti, forse per l’imbarazzo, non ci rivolgemmo neppure una parola. Gabby non veniva neanche più a dormire a casa. Mi stava evitando e lo stava facendo sul serio.

Perché? Forse non gli piacevo, forse non ero bella come le altre ragazze di cui si circondava, forse…

Decisi così di fare come lui. Gabby per me non esisteva più.

Passarono mesi da quella sera. Mi sentivo meglio. Poi una notizia: Gabby si era fidanzato.

Da quando li ho visti insieme, non ho avuto più pace. La rabbia che provavo mi logorava.

“Perché mi ha fatto questo… lo odio!”.

Dovevo assolutamente trovare il modo di fargli male, come lui lo stava facendo a me.

Un pomeriggio, mentre stavo andando con una amica a comprare del fumo, conobbi Cri il fratello del mio spacciatore. In un attimo la mia mente si illuminò: avevo trovato il modo per ferirlo…e questa volta era perfetto!

Gabby conosceva molto bene quel ragazzo, si frequentavano da quando erano bambini.

La sera dopo eravamo in strada insieme, l’ ho portato nei posti che Gabby frequentava, ho fatto la mia sfilata con la speranza che se ne accorgesse o che qualcuno gli dicesse qualcosa e poi ce ne siamo andati in un posto isolato, ci siamo drogati fino a sentirci male e mi sono sentita uno schifo, un mostro.

Quando siamo tornati in strada vidi Gabby; mi stava aspettando, mi aveva cercata tutta la notte. Era nero, era arrabbiato, non lo avevo mai visto così.

Si avvicinò, m’insultò, e mi tirò uno schiaffo in faccia che mi fece uscire un po’ di sangue dal naso.

Il dolore che provavo mi faceva sentire bene, finalmente ora avevo lui, le sue attenzioni, la sua rabbia.

M’abbracciò, poi prese la mia testa tra le mani e mi disse:

“Perché lo hai fatto? Io ti voglio bene e non ti lascerò più… non farmi più stare così male!”

“Ok, ma lascia quella tipa”.

“Domani lo farò, ora andiamo a casa”.

Tornammo a casa facendo piano per non svegliare i miei genitori, non volevo che mi vedessero tutta strafatta e sporca.

Mi appoggiò la mano sulla nuca e con l’altra mi schiacciava un asciugamano sul naso: il mondo intorno a noi sparì di colpo.

Lui tremava ancora di rabbia, io avevo il naso e la bocca sporchi di sangue e quell’asciugamano stava assorbendo tutto il nostro dolore, tutto il male che ci eravamo fatti.

L’inerzia sfacciata, con cui stavo accettando di essere un mostro, mi faceva soffrire. Un mostro con gli occhi spaventati e pieni di lacrime che scendevano sulle tempie, un mostro che in quel momento piangeva come non aveva mai fatto in vita sua.
Chiara
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.