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Come si fosse chiusa una saracinesca

A casa mi sento stretto, e tutti i giorni non vedo l’ora di uscire, di non avere rotture e andare a bermi una birra e a giocare al videopoker. Spesso uscivo solo, gli unici con cui mi trovavo bene erano i soliti due amici, M. e G. Continuo a uscire con loro che ogni tanto vanno a ballare e prendono qualche pasticca. Un giorno ne offrono mezza pure a me, e visto che con loro mi trovo bene e mi sembrano in gamba decido di provare anch’io. Li ho scoperto un mondo nuovo, all’improvviso mi sono sentito diverso, io che ero sempre stato timido e impacciato, adesso ero super, parlavo con tutti, ragazzi e ragazze, addirittura ballavo, tutte quelle cose che prima mi sembravano impossibili all’improvviso mi venivano facili. Quell’ambiente mi affascina, mi trovo bene, infatti da li in poi continuo ad andare a ballare e quando sono in discoteca le pasticche diventano la regola. Il mio nuovo stile di vita però costa caro e per mantenerlo sono costretto ad iniziare a rubare qualche soldo al lavoro o in casa, fino a quando il mio capo non mi becca e mi licenzia, mi ricordo che avevo 16 anni. In casa le cose peggiorano, con i miei genitori è una lite continua, con mio fratello non c’è più rapporto lui non vuole avere niente a che fare con me e con quel tipo di vita, in paese mi sono fatto la fama di quello da evitare. Questo però non mi ferma, quando sono li, in quell’ambiente mi sento sicuro, parte di qualcosa, mi piaccio finalmente, tutte le sensazioni negative che vivo a casa spariscono, probabilmente era una fuga da tutto ciò che mi faceva male. Quindi continuo ad andare in discoteca con i miei due amici, li conosco un altro ragazzo che si chiama Marcello lui usa anche altre tipi di sostanze e senza pensarci le provo anche io.

Ormai la droga fa parte della mia vita non solo quando vado in discoteca. Non lavoro, mi sveglio tardi, non mangio neanche e me ne vado subito fuori di casa, sto in giro tutto il giorno con i soliti due. Mio padre e mia mamma sono disperati, mia mamma mi chiama sul cellulare ed io non le rispondo neanche, mi viene a cercare in giro, ho l’impressione che non me ne freghi niente delle persone che mi vogliono bene, non li sento più come i miei genitori.

Era come se si fosse chiusa una saracinesca nei confronti della mia famiglia, ero arrabbiato con il mondo, ora mi rendo conto che forse in realtà il fatto di essere stato adottato fosse diventato un alibi per giustificare le mie azioni, io non dovevo rendere conto a nessuno, volevo decidere io a chi volere bene, volevo crearmi io i miei affetti.

Voglio passare il mio tempo con i miei amici, ci volevamo davvero bene, o almeno credevo. Nel frattempo continuavamo a drogarci, avevo cominciato anche con l’eroina, ed io a casa non rientravo neanche per dormire, preferivo stare in giro, i miei amici invece tornavano a casa. Per tirare avanti comincio a fare qualche furto, qui però i miei amici già hanno preso le distanze da me, loro si facevano si ma non volevano fare vita di strada. Quindi ero rimasto solo, io e l’eroina. Sto male perché ho perso la mia famiglia, i miei amici ai quali volevo molto bene mi hanno abbandonato, inoltre vengo arrestato. Continuo con quella vita per anni, in poche parole sono un barbone, sono sempre solo, mangio alla Caritas, rubo e dormo dove capita. Mia madre spesso mi viene a cercare ma io riesco a non farmi trovare. Fino a quando un giorno sono su una panchina vicino casa, mi faccio e vado in overdose. Mi trova mio fratello che spaventato chiama mia madre, lei cerca di rianimarmi ma non c’è niente da fare, devono chiamare l’ambulanza. Però è tardi, ed io vado in coma. Quando mi sveglio dopo tre giorni, mia mamma è li affianco a me, nonostante tutto lei è lì, affianco al mio letto. Parliamo a lungo, lei ha gli occhi gonfi di lacrime ed io finalmente mi abbandono al suo affetto, a quello di mio padre e di mio fratello e assieme affrontiamo i miei demoni. Ora dopo tre anni che sono a Sanpa, dopo aver faticato, sofferto e pianto mi rendo finalmente conto che loro mi hanno sempre voluto bene.

Ora lo so, loro sono la mia famiglia.

Gianclaudio