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Fuori dal mondo

Ti nascondi in questo garage fin da quando eri piccolo. Ti ho visto crescere, Diego, nei tuoi momenti più intimi, più tristi. Persino quando venivi qui a farti del male. Finché non sei andato via

Sei così piccolo, fragile, così solo. Sono anni che trascorriamo tutti i pomeriggi insieme, sempre e solo io e te. Ho avuto modo di conoscerti in tutto questo tempo, il timbro della tua risata è impresso nella mia memoria e l’eco della tua felicità è il suono più dolce fra le melodie. Conosco altrettanto bene, però, la sofferenza che ci avvolge quando ti rannicchi in un angolo e ti odi per la solitudine in cui vivi. Vedere il tuo corpicino scosso dai singhiozzi, mi strazia, Diego. Vorrei parlarti, dirti quelle cose che forse non ti diceva nessuno. Per questo ti nascondi qui da me: il tuo garage, il tuo posto fuori dal mondo. Ti osservo, mentre ti arrampichi su quella pila instabile di scatoloni per raggiungere lo specchio crepato, appeso alla parete. Ed ecco il tuo volto riflesso, con le guance rigate dalle lacrime e una smorfia di dolore, mentre ti chiedi perché tu sia così diverso dagli altri bambini. “Non sei diverso, vieni solo da un altro paese e vai benissimo così come sei”. Vorrei che sentissi le mie parole. Gridi a quel pezzo di vetro mal- S concio dolore e rabbia, figli dell’isolamento cui sei costretto, incolpandoti per i tuoi occhi a mandorla e la tua pelle ambrata. Arrivi alle scuole medie. Crescendo continui a distinguerti dagli altri. Le tue passioni diventano oggetto di scherno, non perché siano stupide o ridicole, ma solo perché inusuali per un ragazzo. Trascorri ore, chino su quei plichi di fogli a scarabocchiarci sopra ogni pensiero, dando voce alle tue emozioni per mezzo di tenere poesie. Reciti con passione il tormento che ti porti dentro da anni, ed ora lo spettatore della tua vita non sono più solo io. È un po’ di tempo ormai, che i pomeriggi li trascorri in compagnia di una ragazza, alla quale mostri tutta la tua vulnerabilità; qui con lei non hai bisogno di indossare una maschera, perché è proprio la tua sensibilità a piacerle. Sei diverso, sei felice. Ora mentre scrivi sei sereno. Perché a guidare la penna non è più l’odio che provi verso gli altri, le prese in giro, ma l’amore che nutri verso quella ragazza. Questo però, dura il tempo della tua storia d’amore. Ti sei esposto e ne sei rimasto ferito, di nuovo. La sofferenza che ne scaturisce è troppa da sopportare, le emozioni ti travolgono e ti spezzano. Cerchi un modo per affrontare la situazione, e lo fai, incidendoti sulla pelle la mappa del tuo stesso dolore. Trascorri sempre più tempo a punirti per tutto ciò che ti rende unico. Hai iniziato le superiori e non vuoi più distinguerti dagli altri, perché se sei diverso, quasi sempre sei anche solo. E tu di stare solo, sei stanco! Per questo quel pomeriggio hai portato qui i tuoi amici e hai accettato di fumare. Lo sapevi che fumare quella canna era sbagliato, che anche un singolo “tiro” poteva essere pericoloso, eppure lo hai fatto. Non ti è nemmeno piaciuto farlo, non hai provato nessuna sensazione particolare. Però, per la prima volta, hai percepito di essere parte di un gruppo, e di questa sensazione sei diventato dipendente. Hai scoperto, tuttavia, che la popolarità ha un costo, ma non ti importa, perché finalmente tutti ti cercano. L’euforia di essere cercato, ricordato dagli altri e riconosciuto, detta le tue scelte e in poco tempo ti porta ad accantonare chi eri, per trasformarti nel tipo “figo” che ritenevi di dover essere. Prima era un pomeriggio ogni tanto, poi sempre più spesso, finché la novità non si è trasformata in quotidianità. “Fermati Diego! Dove pensi di andare?”. Ma tu, purtroppo non puoi sentirmi. Lasci la scuola, trovi un lavoretto. Ti senti grande. Nessuno sa niente, a parte me, della tua doppia vita. Un tuo collega ha iniziato a parlarti di cocaina e nonostante non sapessi quasi nulla di quella sostanza, hai deciso di provarla. Eri convinto di poterla gestire perché, in fondo, stavi solo provando, nulla di più. Eri sicuro di poter smettere quando volevi. La situazione, però, ti è sfuggita di mano, e dal farne un uso saltuario al lavoro, sei passato a organizzare festini, qui dentro, tutte le settimane. I pomeriggi sono sempre più caotici e affollati, e la tua sensazione di appagamento non fa che aumentare. Ti senti potente, apprezzato, e mi rattrista il fatto che tu non capisca che è solo una farsa. Sei circondato da persone, ma in realtà, non sei mai stato così solo. La tua vita è scandita dal ritmo delle sostanze dalle quali, ormai, non riesci più a separarti, fino a quando non incontri lei, l’amore della tua vita. Hai capito subito di essertene innamorato, quindi decidi di raccontarle ogni aspetto della tua realtà, anche quello che ti spaventa di più: la droga. Sei disposto a rinunciare a tutto per lei, dalla famiglia alla “notorietà”, persino a quel tuo gruppo di amici che non faceva che crescere. Perché “lei” era abbastanza, “lei” era il tuo tutto. Hai provato l’eroina. Eri indeciso, titubante, combattuto. Sapevi che era una strada che porta solo in un posto, alla morte. Ma hai comunque scelto di provare. Siamo di nuovo soli, io e te, o meglio, io, te e l’eroina. Lo fai. Ti innamori. Ti perdo. Sei così diligente che nessuno ha ancora capito niente. Così insospettabile che non ci sono conseguenze, non ancora. Io non ti riconosco più. Ora sei vuoto, distante, perso in quel mondo di dolore in cui hai cercato rifugio. Hai combattuto tutta la vita la solitudine a cui eri costretto, scendendo a compromessi a cui mai avresti pensato, pur di essere notato; ora hai allontanato tutti, per poterti isolare nel tuo disagio. Hai solo due pensieri, costanti, che si nutrono l’uno dell’altro: drogarti e trovare i soldi per farlo. Sei disposto a tutto, anche a perdere quel poco che ti è rimasto, la dignità e il rispetto dei tuoi genitori. Inizi a spacciare e rubare, anche a casa tua, e non te ne importa, perché è a questo che si è ridotta la tua vita, al nulla. È così che tutto viene a galla. I tuoi genitori ti stanno addosso, ti controllano, ma non sanno come aiutarti. Ti privano di tutto, cercano di farti ragionare, ma non puoi aiutare una persona che non vuole essere aiutata. Quindi, stremati dal tuo comportamento, non possono fare altro che buttarti fuori di casa. Lo imparo il giorno che ti vedo entrare qui, solo e spaventato. Sei in maglietta, pantaloncini e pantofole quando tuo papà ti dice di andartene, ed è così che arrivi qui. Cercando qualcosa da metterti addosso, qualcosa da vendere, per poter sopravvivere e andare a farti. Io ti guardo andartene, in silenzio. Non puoi sentirmi ma, anche se fosse possibile, non saprei che cosa dirti. Passano quarantatré giorni prima di rivederti entrare qui. Prima entra tuo padre, ti tiene aperta la porta e subito dopo arriva anche tua madre. Quando ti vedo, mi sento male. Sei magro, sporco, hai gli occhi spenti di chi non si domanda più niente. Tuo padre si accuccia accanto a te, senti prima il peso del suo braccio che ti cinge le spalle, e quindi quella sensazione di leggerezza che deriva dal condividere il peso che ti porti dentro da anni con qualcuno. Con il tuo papà, che è pronto a farsi carico del tuo dolore per alleviare te, nonostante il rancore, nonostante gli sbagli. Suo figlio è vivo, c’è ancora una possibilità, che tutto si metta a posto. Vi guardate, non c’è bisogno che parliate, attraverso quel silenzio vi state dicendo tutto quello che non vi siete detti negli anni. Ora sei pronto, sai che non sarà facile, ma hai la consapevolezza di non essere solo, e questa volta per davvero. Sento solo un nome: “San Patrignano”. Non so cosa sia, ma questa volta ci spero davvero. Milleduecento ventuno giorni. Quanta pioggia, vento e neve ho visto, in tutto questo tempo. Da quando tu non vieni più qui, sono invecchiato. Le mie pareti logore, quella porta malandata, sono proprio un rottame. Forse sono restato in piedi solo per sentire quel cigolio, e rivederti entrare da quello spiraglio di luce. Che salto nel tempo, Diego! Sei grande ormai, sei un uomo. Lo vedo dagli occhi. Vedo sicurezza, dignità e vedo anche tutte quelle fragilità che avevi, quando eri piccolo e restavi qui con me. Ma ora non piangi più. Anzi, quasi ne vai fiero. Sei completamente diverso da come ti ho visto l’ultima volta, eppure così simile a quel bambino che si arrampicava sugli scatoloni e che scriveva poesie. Sei tornato. Ti guardi allo specchio, quello vecchio e crepato appeso alla parete, e sorridi alla tua immagine fiero di ciò che sei diventato. Nulla potrebbe rendermi più felice. Ti ho accompagnato lungo tutta la tua vita, sono stato un amico quando nessuno ti voleva; sono stato il palcoscenico dove hai potuto recitare il tuo amore; sono stato il rifugio dove ti sei concesso di soffrire; sono stato anche l’anticamera della tua rovina; infine sono stato l’abbraccio tra te e tuo padre. Sono stato tante cose, quando in realtà sono solo un garage. Un posto fuori dal mondo, dove hai fatto un viaggio che ti ha portato qui, oggi, a trovare chi sei veramente.

testo di Asia Ferroni, tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 56 agosto 2021
Per scoprire come riceverlo: https://www.sanpatrignano.org/sostienici/sanpanews-voci-crescere