Altoatesina tra le più note alpiniste italiane, Tamara Lunger ha da poco realizzato un sogno ereditato da un compagno di cordata: aprire un centro in cui insegnare l’arrampicata alle bambine pakistane alle tra le valli più tradizionaliste del paese
Imbraghi, scarpette, corde, trapani e prese. Nel centro Climb for a Reason, nato nella regione pakistana del Gilgit-Baltistan grazie all’impegno dell’alpinista italiana Tamara Lunger, l’emancipazione femminile passa dagli strumenti e dalle tecniche di arrampicata. Alle bambine dei villaggi dell’area, tra le più tradizionaliste del Pakistan, sono rivolti infatti i corsi di arrampicata organizzati nel centro. Una strada per permettere alle ragazze di acquisire fiducia in se stesse attraverso uno sport tradizionalmente riservato al mondo maschile. Sostenuto da crowdfunding, donazioni private e sponsor tecnici, il centro è attivo da un paio di mesi. Al suo interno ci sono imbraghi, scarpette, corde e materiali da noleggiare gratuitamente, una parete artificiale e delle vie su roccia dove le ragazze possono imparare a scalare. Grazie a un’attenta azione di sensibilizzazione da parte dello staff verso le famiglie della zona, sono già tante le bambine coinvolte. In particolare, ha spiegato Tamara Lunger al Corriere della Sera, è stato necessario parlare con i padri dei villaggi, che guardano con diffidenza ogni forma di iniziativa occidentale rivolta al mondo femminile. È stato poi importante formare istruttrici locali donne, dato che alle bambine non è permesso avere un insegnante maschio prima di aver compiuto dieci anni di età. Di grande aiuto è stata anche la presenza della climber di origini egiziane Waafa Amer, che all’inizio della sua carriera ha dovuto lottare con il padre, contrario alla sua passione per l’arrampicata, praticata liberamente solo dopo aver lasciato l’Egitto per stabilirsi in Italia. Trentacinquenne figlia di un noto scialpinista italiano, cresciuta con la passione per la montagna, Tamara Lunger ha fortemente creduto nel progetto Climbing for a Reason. Dietro l’origine del centro c’è un pezzo di vita della Lunger, che ha voluto realizzare quello che era il sogno dell’alpinista cileno Juan Pablo Mohr, un compagno di cordata che lo scorso febbraio ha perso la vita sul K2. A lui Tamara aveva promesso che lo avrebbe aiutato ad aprire Climbing for a Reason e ha mantenuto la parola data, trovando in questo modo anche una via per fare pace con la perdita e guardare con occhi nuovi la montagna. Dopo la morte di Mohr e degli altri compagni sul K2, Tamara ha infatti vissuto un momento di profonda crisi, che l’ha portata ad abbandonare per il momento il mondo delle spedizioni estreme. La stessa Lunger era parte del gruppo di alpinisti che nel febbraio del 2021 avevano tentato la scalata al K2. Una spedizione costata la vita ai cinque compagni di cordata e abbandonata dall’alpinista poche ore prima del tragico epilogo, perché come raccontato nel libro che ripercorre i tragici eventi “Il richiamo del K2. La dura lezione della montagna”, Tamara sentiva che non era il momento giusto per tentare la salita. Dopo la tragica vicenda, Tamara ha deciso di porre fine per il momento ai tentativi di scalata degli ottomila, mettendo in pausa una carriera con cui ha scritto pezzi di storia dell’alpinismo: nel 2010 è stata la donna più giovane, a 23 anni, a scalare con ossigeno il Lhotse, sull’Himalaya, e nel 2014 è stata la seconda donna italiana a raggiungere la vetta del K2. Con la montagna Tamara è cresciuta e ha formato se stessa, sempre con la vetta negli occhi, spingendosi oltre i propri limiti ma nel tentativo di comprendere il momento di abbandonare un’impresa di scalata troppo pericolosa, maturando una forza che oggi spera possano conoscere anche le bambine pakistane nel centro Climbing for a Reason.
Articolo di Cristina Lonigro; tratto da “SanpaNews – Voci per crescere” n° 63
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