Ogni notte quel dannato sogno si presentava alle porte della mia mente. Mi trovavo in una cava di marmo, spingevo un masso di granito e facevo una fatica tremenda. Provavo a spostarlo, ma niente. Non ci riuscivo. Nonostante tutti i tentativi possibili, quel masso restava lì, fermo, al suo posto. Ogni mattina, al mio risveglio, non ricordavo mai il luogo in cui mi trovavo, neppure un dettaglio dell’ambiente circostante. Anche la mia immagine era sfuocatissima. Quello che mi rimaneva, ogni volta, era un senso di pesantezza e di delusione. Restavo lì, a rigirarmi nel letto, schiacciata da un senso di colpa tremendo per avere fallito un’altra volta.
La mia casa era molto grande e immersa nel verde. Io e mio fratello giocavamo sempre insieme; eravamo due bambini abbastanza sereni. Mia madre si era completamente dedicata a noi. Era molto giovane, aveva interrotto gli studi, aveva rinunciato al lavoro per occuparsi della sua famiglia. Mio padre era sempre in giro: per lavoro, con gli amici, per coltivare i suoi hobbies. In casa c’era poco e quando c’era l’atmosfera cambiava. Regole, ordine, pretese. Tutto diventava faticoso, pesante. Un macigno che schiacciava. Io non mi sentivo mai all’altezza e questo peso era terribile per me: mi sentivo sempre piccola e fragilissima. Era tutto finto in casa mia; tutto tremendamente freddo, senza colore, senza anima. Mattonelle e muri bianchi, come il servizio dei piatti. Tutto bianco, tutto studiato e perfettamente in ordine. I miei genitori stavano insieme solo e soltanto per noi, in realtà tra loro era una guerra silenziosa. Io mi sentivo colpevole e impotente di fronte a ciò. Guardavo mia madre, schiacciata dal peso della vita e soprattutto schiacciata dal peso di un uomo che le negava la libertà di vivere, di respirare, di essere se stessa. Avrei voluto trascinare tutti via. Liberi. Ma mi sentivo troppo piccola, troppo fragile. Ho provato a prendermi i miei spazi, la mia strada, le mie scelte. Ma mi sono incasinata da sola. Volevo non sognare più, non sentirmi schiacciata. Libera. Non è andata così. Ecstasy, cocaina. Mi ero illusa, mi sembrava che funzionasse. Sono scappata. Quando a 19 anni provai l’eroina, il mio mondo interiore fu stravolto, annientato. Il masso di granito divenne una piuma d’oca che volteggiava inconsistente. Da allora il sogno scomparve ed il mondo che mi circondava mi sembrava accettabile, vivibile. Ma era tutto finto; finta io, finta la vita che mi stavo costruendo. Mi ero trasferita a Firenze, portavo avanti una duplice esistenza: da una parte studiavo e lavoravo e dall’altra ero una eroinomane che spacciava per farsi, pur dimostrando a tutti che andava tutto bene. Vivevo con un ragazzo molto più grande di me ed insieme c’eravamo creati un mondo brutalmente perfetto: io, lui e LEI. Carnefice, dolce compagna di infinito niente, subdola curatrice di tutti i mali: l’eroina. Ma nel tempo quel puzzle cominciava a sgretolarsi. Lasciai l’università, lasciai il mio ragazzo, finii per strada, distrussi tre macchine in 1 anno. Le persone che attiravo erano proiezioni dei miei malesseri, specchi della vita indegna che stavo conducendo. Erano tossici, rovinati come me.
Pioveva. Era una grigia domenica di febbraio. Tre parole. Ricordo solo tre parole. ‘Federico è morto’. Era stato trovato in casa. Overdose. Lui era una delle persone più vicine a me. Negli ultimi periodi condividevamo tutto. Tranne però quell’ultimo buco. Lui non c’era più. Fu la prima volta che guardai davvero in faccia la morte, che sentii il peso della fine, del non esserci mai più. Sprofondai, sempre più, annientata dai miei sensi di colpa e dai miei fallimenti. Non avevo aiutato mia madre, non avevo salvato Federico dalla morte. Avevo perso del tutto il rapporto con mio fratello e con mio padre. Agli occhi miei e di tutti ora una tossica, sprezzante della vita, sprezzante di se stessa, inadatta a vivere il presente perché incapace di accettare il proprio passato. Per Valentina non c’era più futuro. Il 28 gennaio 2015 finalmente ho scelto. Ho scelto di salvarmi. Ho scelto di ricominciare. Ho scelto di imparare a scegliere. Adesso ogni giorno è un giorno nuovo ed è veramente unico sentire così forte il bisogno di viverlo… e prima o poi so che riuscirò a perdonare anche me stessa.
Valentina
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.