Mi chiamo Elisabeth e sono nata a San Paolo in Brasile, vivevo in un orfanotrofio e i miei genitori mi hanno adottato quando ero molto piccola, hanno accolto anche mio fratello che aveva un anno e io ne avevo quasi due.
Mia madre è stata una donna formidabile, si trattenne per oltre un anno nella mia città di origine per attivare e seguire le procedure di adozione e per questo l’ho sempre ammirata, anche per il fatto di aver fatto tutto da sola. Il primo periodo in Italia, ricordo è stato un bel periodo, i miei genitori si amavano e questo si percepiva nell’aria, mi sentivo desiderata e parte integrante di una vera famiglia.
A scuola andava tutto bene, ciò che in realtà mi creava una sorta di disagio, era la totale assenza di somiglianza tra me e i miei genitori. Questo in qualche modo mi diversificava dagli altri, era come se io avessi nel mio colore ambrato e nei miei lineamenti, impressa la mia provenienza d’origine e questo mi faceva sentire diversa.
Alle elementari, non davo problemi, ma all’età di cinque anni, purtroppo i miei si separarono e lentamente iniziai a perdere i punti di riferimento. Andai a vivere a Ravenna con mia madre e mio fratello e vedevo mio padre tutti i weekend, ma questo non era sufficiente per sentirmi parte di una famiglia stabile.
Con Francesco, il compagno di mia madre, i rapporti erano tranquilli inizialmente, un po’ meno con Gloria la compagna di mio padre, la quale era molto particolare, di estrema bellezza e molto gelosa nei suoi confronti e questo atteggiamento mi infastidiva molto, poiché lei mi faceva sentire esclusa dalla loro dimensione, sentivo infatti di allontanarmi ogni giorno di più.
Ricordo che all’età di dieci anni, iniziai a percepire un crescente malessere interiore e stavo bene solo quando andavo a cavallo, la mia passione di sempre.
Alle medie, nonostante fosse una buona scuola, mi sentivo diversa, stavo sempre sulle mie, introversa, ero in uno stato costante di insoddisfazione e non riuscivo a comprendere le reali motivazioni.
In seguito mia madre e il suo compagno, non andarono più d’accordo, sentirli litigare, non migliorava la situazione affettiva precaria che stavo vivendo. Alla fine si lasciarono.
Perdendo le mie certezze aumentò quel senso di vuoto che mi accompagnava ovunque e fu in quel momento che mi avvicinai alle sostanze, volevo annientare i pensieri negativi, le emozioni dolorose, mi feci trascinare dalla superficialità, dall’incoscienza e dalla presunzione di potermi gestire.
Dentro casa mia, dentro me stessa, sentivo dolore, volevo annullarmi.
Ricordo la mia prima fumata di eroina con i miei amici nel bagno pubblico, stetti malissimo e mi spaventai molto, ma questo non fu un buon motivo per cambiare rotta, da quel momento in poi, non smisi più.
Avevo quattordici anni e stavo distruggendomi con le mie mani. Non c’era nessuna giustificazione per le mie azioni e il giorno del mio compleanno mio padre volle incontrarmi per parlarmi, per ritrovarci. Mi regalò un braccialetto e dei soldi, un ingenuo tentativo di ristabilire un contatto, ma non mi vedeva per quello che ero realmente, si illudeva che io mi fossi ripresa da quell’incubo che stavo vivendo. Ma ero troppo auto distruttiva per poter uscire da quella strada buia da sola.
Mi rendo conto di quanto sia stato difficile per i miei genitori sopportare questa situazione, loro mi sono stati sempre vicino, non si sono mai arresi. Ero consapevole di quello che stavo facendo alla mia famiglia ma non mi interessava. Io volevo sentirmi importante per qualcuno è richiamavo l’attenzione con tutti i mezzi. Penso che il motivo principale per il quale mi sia legata al mondo della droga, sia stata quella sensazione di inadeguatezza che mi portavo dentro.
Solitudine, senso di apatia, frustrazione, farsi accettare dal branco, voglia di trasgredire, avere emozioni distorte, voler essere notata, tutto questo mi ha spinto a frequentare persone sbagliate e ad allontanarmi da quelle giuste, che in quel momento alienato della mia vita, mi sembravano inadeguate.
La mia difficoltà a gestire le emozioni, non sapere elaborare le sconfitte, quella mia incapacità di stare al mondo mi aveva fatto perdere il contatto con la realtà.
Oggi devo ringraziare San Patrignano che mi ha ridato il sorriso, che mi ha fatto scoprire un’altra dimensione, che ha saputo tirare fuori la parte migliore di me.