Ciao a tutti. Io mi chiamo Lorenzo e voi ricordatevi il mio nome. Per raccontare la storia di quando è nata A. voglio fare una premessa e spiegare il rapporto che mi lega a sua madre, che inoltre è mia sorella. Ha tre anni meno di me e per l’educazione che ho ricevuto avere una sorella e per giunta più piccola significa sostanzialmente prendersi cura di lei. Il rapporto con lei si riassume in una parola: protezione. Una protezione complicata dallo stile di vita che mia sorella abbracciava man mano che cresceva. Io ho avuto il mio percorso, che mi ha avvicinato progressivamente prima all’alcool poi alle droghe, fino alla dipendenza da eroina, mentre lei ha iniziato piuttosto precocemente e senza nessun riguardo nè di situazione, nè di tempo o di luogo, con ogni tipo di sostanza. Refrattaria ad ogni tipo di imposizione, anche la più logica e giustificata, viveva nel costante tentativo di evadere da una realtà che non riusciva a sopportare. Per sostenere questo stile di vita, lei spariva, letteralmente. Si aggregava a gruppi di strada che in quella metà anni novanta andavano di moda e, senza avvertire o lasciare un qualsiasi recapito, da un momento all’altro, non la trovavi più. Il pomeriggio usciva con le amiche e alle otto una di loro faceva telefonare dai suoi genitori per dire che D. aveva conosciuto qualcuno e aveva preso un treno per chissà dove. Mio padre usciva di testa e mia madre col passare degli anni ci ha totalmente perso il sonno. Venivano avvisate le autorità e mio padre attivava qualche conoscenza per avere notizie, ma lei era capace di non farsi sentire per svariati mesi e nessuno sapeva dove si era andata a rifugiare. Poi all’improvviso arrivavano quelle telefonate. Qualcuno spiegava al babbo dove trovarla ed era a quel punto che entrava in gioco il mio ruolo, quello di fratello maggiore, quello che doveva proteggere. Poteva essere Palermo, come Napoli, piuttosto che Berlino. Berlino sì!! Mio padre mi chiamava e col suo fare da capo branco mi dava i soldi per il biglietto del treno e mi diceva: “Riportala a casa!”. Io provavo a protestare: “..ma non puoi chiamare la polizia, i carabinieri, l’esercito, che cavolo ne so….io ho il lavoro, la fidanzata, gli amici..”. “Riportala a casa..” questa era la risposta. E allora io andavo, prendevo il treno o la macchina e la cercavo fino a trovarla buttata da qualche parte, in mezzo a situazioni allucinanti e in compagnia di persone che potevi affrontare soltanto in modalità ‘da battaglia’, diciamo così. E a casa me la sono sempre riportata, anche perché fidatevi: il fallimento non era assolutamente contemplato. Poi D. dopo qualche anno intrappolata, dentro le pieghe della società dei giorni nostri, decide di seguire un’amica per entrare in comunità. Un percorso che dura poco meno di tre anni. Ne esce con un nuovo ragazzo con il quale decidono presto di tentare un’esperienza all’estero. Ecco così che tramite un parente di lui se ne vanno a vivere a Tenerife, l’isola spagnola al largo del Marocco, in pieno oceano Atlantico. Dico la verità: all’inizio è stata dura perché dovevo accettare di non poterci arrivare in qualsiasi momento volessi o nel caso ne avesse avuto bisogno. Col tempo però mi sono abituato, o meglio ho cercato di pensarci il meno possibile. Poi arrivò l’inverno del 2005 ed è in quella prima metà di dicembre, che inizia davvero questa storia. Da qualche giorno vivevo con F. conosciuta in una panetteria sette mesi prima. Lavoravo per una ditta che aveva cantieri nel settore ristrutturazioni e guadagnavo bene. Era un buon momento, perché riuscivo a stare lontano dalle droghe e mi ero permesso di prendere in affitto un bell’appartamento in una zona verde di Arezzo, la mia città. La ciliegina sulla torta arrivò con la telefonata che in quei giorni ricevetti da D. che mi chiamava dalle Canarie. “Lorenzo sono incinta”…BAM!
Emozionato, con gli strizzoni alla pancia, una volta terminata la conversazione, mi affrettai ad avvertire mia madre che proruppe in un pianto di gioia. Fu un bel Natale, quello. Siamo stati tutti insieme e ho comprato un sacco di regali per tutta la mia famiglia. Me ne sono fatto uno pure per me: un salvadanaio di porcellana bello grande a forma di mucca. Il motivo è questo: quando mia madre scoppiò in lacrime alla notizia di D. incinta io le feci una promessa. Avrei visto nascere il figlio/a di mia sorella. Avrei preso l’aereo e sarei stato a Tenerife in tempo per presenziare al parto. Così, che cosa mi ero messo in testa?!…che ogni spicciolo proveniente da un resto, che fosse della colazione o delle sigarette o della spesa al supermercato lo avrei messo via e al momento opportuno avrei contato quanto accumulato. E così iniziai a fare. La seconda mossa fu quella di accertarsi quando D. avrebbe dovuto partorire e secondo i calcoli sarebbe avvenuto ad ottobre del 2006. Allora parlai con P. il mio datore di lavoro, per informarlo delle mie intenzioni e che di conseguenza per l’anno successivo avrei preso le ferie in quel periodo e non di agosto come ero solito fare. “Non c’è nessun problema”, mi disse. Perciò avevo sistemato tutto e mi sembrava che avessi il pieno controllo sulle cose e sul loro andamento. Così passarono i mesi e si alternavano le stagioni, il lavoro proseguiva e mentre l’estate obbligava le donne a scoprirsi le gambe, ricevetti la prima notizia importante di quell’anno: “Lorenzo, aspetto una femmina”, mi comunicò mia sorella.…BAM!
Una bambina per la mia sorellina! Dentro mi montava la voglia di vederla e abbracciarla e dirle che per lei ci sarei stato qualsiasi cosa fosse successa. Ma eravamo ancora ai primi di luglio e ne mancava di tempo…dovevo rilassarmi e aspettare. Ma i programmi, si sa, per quanto ben congeniati, qualche imprevisto, lo subiscono sempre e fu così che la mattina del dieci, giorno di paga, P. mi avvicinò e mi chiese se avevo voglia di mangiare a casa sua quella sera stessa. Non che non mi facesse piacere, ma dico la verità, non era mai successo e perciò capivo che c’era qualcosa che non quadrava. La sera eravamo lì, entrambi, a casa sua, davanti al piatto di pasta che sua moglie ci aveva cucinato e servito. E P. attaccò: ”Lo sai che non ti ho invitato soltanto per mangiare un piatto di spaghetti, no?! Devo dirti una cosa che non ti piacerà, ma non ho alternative purtroppo. So quanto ci tieni ad andare a Tenerife per veder nascere tua nipote. Il fatto è che ho preso un grosso appalto e i lavori inizieranno proprio ad ottobre. Mi serve la disponibilità di tutti i ragazzi e non posso fare altro che darvi le ferie ad agosto come ogni anno. Mi dispiace, sul serio!”…BAM!
Ora, provate ad immaginare lo stato d’animo con cui sono venuto via quella sera da casa di P. E non potevo neanche mandarlo a quel paese…il lavoro! Ma ero arrabbiatissimo. Nei giorni che ne seguirono mi stupii di come stavo reagendo. Decisi di non farmi il sangue amaro e riuscii a mettermi via questo smacco. Potevo sempre andare laggiù ad agosto e stare vicino a mia sorella per quelle due settimane. Certo non era la stessa cosa, ma pazienza. Il destino aveva voluto così. Ovviamente avvertii mia madre che non avrei potuto mantenere la promessa, ma era felice lo stesso che avevo deciso di andare comunque, così si preoccupò lei di cercare un volo il più economico possibile per l’isola canaria e dopo un paio di giorni mi telefonò: “Lori, se ti va bene c’è un volo che parte il 6 di agosto a mezzanotte. Rientreresti il 20. Tutto compreso sono 384 euro”. “Ok” risposi “Prenotalo subito”. Fu quella sera a cena che F. si ricordò di quel salvadanaio che mi ero comprato a Natale e in cui già da un po’ avevo smesso di mettere spiccioli. Andai a cercarlo. Mi ricordavo di averlo lasciato nel fondo di un armadio e fu lì che lo trovai, così lo adagiai sopra il letto, presi un martellino e lo colpii all’altezza della pancia. Il salvadanaio si ruppe e da esso estrassi tutti i soldi accantonati durante l’inverno e la primavera. Messi via i soldi in rame, mi misi a contare le banconote e gli spicci da due euro, mentre la Fra mi aiutava con gli altri. In breve…sapete quanto ci ho trovato dentro? BAM!…388 euro.
Mi ci sono entrate le Diana Blu per il viaggio. Allora come già ho detto il 6 notte sono partito e il 7 mattina ero all’aeroporto di Tenerife. Ad accogliermi F. e D. con un pancione che non finiva più. Facevo un po’ il turista, quindi. L’8 sono andato a fare il bagno nell’acqua fredda dell’oceano e il 9 D. mi ha fatto questa sorpresa. Visto che non potevo vedere nascere la piccola aveva prenotato una ecografia dal ginecologo. “Così la vedi almeno dentro la pancia” mi disse. E andammo a 60 km da casa sua (l’isola non è il massimo dall’organizzazione sanitaria) per quest’appuntamento e fu lì che il ginecologo, un ometto basso e calvo e sorridente, che mi scambiò per il futuro padre, dopo avere esaminato l’esile corpicino di mia nipote, emise la famosa sentenza: “Tranquilo hombre. Todo bien. Ocho semane”. Otto settimane, due mesi. I conti tornavano. La sera eravamo a casa a guardare un po’ di tv, poi D. ci disse che era stanca e voleva dormire. Erano le 11, qualcosa più, quando si mise a letto. E io feci altrettanto 10 minuti dopo. Dormivo che era un piacere quando mi sentii strattonare il braccio e dischiudendo pigramente gli occhi vidi che era lei. L’orologio dichiarava mezzanotte e 25 e D. appariva disperata. Iniziò a sproloquiare tutta eccitata: “Lorenzo ho le contrazioni portami all’ospedale subito ti prego”. E io di rimando le dicevo: “Le contrazioni? Ma che c… dici D.! Il ginecologo di stamattina, tranquilo, ocho semane”. Non c’era verso, non si calmava e continuava a dire che stava male. Io allora cos’altro potevo fare. Ho svegliato F., gli ho detto di chiamare per il pronto soccorso mentre io preparavo la macchina, dopo di che ci siamo catapultati in ospedale. Lì i dottori visitarono mia sorella e ci dissero che per un inspiegabile motivo la bambina si era girata all’improvviso. Insomma aveva deciso di nascere. Io non potevo crederci. Ero completamente impazzito. Soltanto 3 ore e mezza più tardi dalla sala operatoria diretta verso l’incubatrice, uscì uno scricciolo di 1 kg e 400. Una sua gamba era un mio dito. E mentre la vedevo passare e mi sentivo riempire di gioia ho pensato a mia madre. Allora ho iniziato a correre. Cercavo l’uscita e scendendo le scale ho anche sbattuto su alcune persone. Una volta fuori dall’edificio ho puntato deciso il parcheggio e mi sono diretto dove avevo lasciato la macchina. Trovata, l’ho aperta e vi sono entrato. Nel cruscotto ho trovato il cellulare, l’ho acceso e nella rubrica ho cercato il numero di mamma. Respiravo forte. Chiusi gli occhi un istante e quando li ho riaperti li fissai verso il cielo e quel rosso di un sole che stava appena sorgendo mi ha riempito gli occhi di lacrime. Poi battei sui tasti:” Ciao mamma. Volevo dirti che oggi è San Lorenzo e alle ore 4 e 40 di un 10 agosto come tanti altri, è nata A. Ti voglio bene”…BAM!