Ciao sono Giada, ho 26 anni e sono nata a Verona. Sono figlia unica.
Mia madre si chiama M.T. e mio padre E. Si sono conosciuti a settembre e io sono nata a luglio dell’anno successivo. A tre anni dalla mia nascita si sono separati. A pranzo stavo da mia nonna, poi tornavo a casa da mia madre. Il fine settimana stavo invece da mio padre che conviveva con questa sua nuova compagna. Prima avevo una stanza mia, poi si trasferirono e io iniziai a dormire sul divano-letto. La situazione non era piacevole perché quando ero a casa loro mi sentivo sempre un ospite e mai a casa mia. Mia madre ha sempre fatto la stagione come barista o cameriera e quindi lavorava da marzo a novembre, erano gli anni ’90 e guadagnava bene, aveva le ferie da novembre a febbraio e per questo ho girato il mondo con lei. Il giovedì solitamente non lavorava e quindi quello era il nostro giorno speciale per stare insieme, andavamo a fare shopping e ci divertivamo.
Non ho mai voluto stare in mezzo agli altri. A tre anni e mezzo ho iniziato pattinaggio artistico perché gli sport di gruppo non mi piacevano. Non mi piaceva stare con i miei coetanei. Ero abituata a stare in mezzo agli adulti, andavo alle feste e alle cene con mia mamma e le sue amiche. Sono sempre stata abituata ai discorsi, alla gestualità e alla mentalità degli adulti. I miei coetanei non facevano parte del mondo a cui ero abituata.
Quello che gli altri pensavano di me non mi interessava. Ero convinta di non aver bisogno di nessuno.
Alle elementari avevo una classe molto unita, eravamo tutti dei “delinquenti” e stavamo bene insieme.
A otto anni abbandonai il pattinaggio artistico perché avevo paura di farmi troppo male.
Verso i nove anni iniziai a frequentare un corso di danza nella palestra di quartiere dove mio zio faceva il personal trainer. Incontrai un’insegnate di Hip Hop e ne rimasi incantata, mi innamorai del suo modo di muoversi e di lavorare e presi la decisione di frequentare il suo corso.
Mia madre nel frattempo cambia un sacco di uomini. Solo uno di questi mi ha voluto veramente bene. Da piccola ho sempre rincorso mia madre, lei era sfuggente, era una donna in carriera e andava dritta per la sua strada. Quando mia madre rimase incinta era giovane e aveva in mente molti progetti, fu mio padre a volermi fortemente. Dal punto di vista economico non mi ha mai fatto mancare niente, ha anche sempre investito per il mio futuro per permettermi di poter andare all’università un domani, allo stesso tempo però mancava tutto il lato affettivo di cui una figlia ha bisogno. Per molti anni non ho avuto un rapporto significativo con mia mamma, se dovevo chiedere dei soldi andavo da lei perché mi sentivo in colpa a chiederli a mio padre, lui diceva che non lo pagavano, poi negli anni scoprii che invece se li bruciava giocando d’azzardo. Mia nonna ha sempre fatto tutto per me, è stata un po’ come una mamma però era la nonna, non è la stessa cosa.
Non mi è mai interessato far parte di un gruppo, preferivo stare sola come ero abituata. Mi creai uno scudo, non volevo dipendere da nessuno, era meglio cavarsela da sola.
Alle medie mi ritrovai in una scuola di periferia che comprendeva alunni più grandi perché bocciati, ragazzi di undici anni che già fumavano le canne e spacciavano, vandali che spaccavano specchietti alle auto dei professori, giostrai e nomadi. È in questo gruppo di ragazzi che inizio a fumarmi le prime canne.
A casa non c’era mai nessuno, mi mancavano gli affetti e così la palestra dove frequento i corsi di danza diventò la mia casa e gli insegnati la famiglia che mi ero scelta. Andavo là anche con la febbre, solo per il piacere di stare con persone che mi volevano bene.
A scuola avevo un’amica e con lei preparavo tutte le coreografie di fine anno. Conobbi però anche un’altra ragazza che già assumeva pasticche e mi portò a frequentare un gruppo di ragazzi, il suo gruppo. Andavano in giro a spaccare cose e a fumare, a me non interessava stare con loro per far parte della loro compagnia, ma ci andavo per stare con lei. Tutte le amiche che andavo a scegliermi erano quelle con più problemi, mi andava bene così perché in questo modo non dovevo dimostrare niente a nessuno. A differenza di altri miei amici, comunque, la sera tornavo a casa e facevo una vita bene o male tranquilla. Registravo le canzoni alla radio, guardavo i cartoni, ballavo a casa e in palestra e non mi interessava uscire e avere una compagnia.
Per non vivere la solitudine in casa che mi faceva in realtà soffrire molto dovevo trovare il modo di non pensare, avevamo un armadietto con i super alcolici e quindi per non sentirmi sola cominciai a bere.
Non volevo stare nel gruppo, però allo stesso tempo ne avevo bisogno, avevo bisogno di qualcuno che stesse con me…
-Giada-