Ballare. Ballare ovunque, con chiunque, in qualsiasi momento, senza doversi sentire in dovere di dirlo a qualcuno. Senza dover chiedere qualcosa a qualcuno. Senza preoccuparsi se il posto e il momento è quello giusto.
L’importante è ballare. Anche se sopra la testa c’è il trambusto dei treni in partenza o in arrivo.
Anche se gli unici spettatori sono i passanti che obliterano il biglietto o qualcuno che passa da un edicola all’altra per comprare qualche rivista da sfogliare sul treno.
Siamo nella stazione di Roma Termini.
La loro pista da ballo: tra un binario e l’altro.
Le loro luci: le insegne luminose delle vetrine dei negozietti della stazione.
La loro musica: grosse radio dalle casse rotonde che sparano fuori pezzi hip pop.
Chi balla: sono loro, ragazzi di strada, prevalentemente immigrati con problemi di regolazione o rifugiati, che anche se vivono per strada hanno voglia di fare quello che gli piace, ballare.
Qualcosa cambia
Poi qualcosa cambia, tra quei passanti che obliterano il biglietto passa lei, Angela Cocozza, una coreografa che vedendo il talento di questi ragazzi e rimanendone colpita dalla grande unione che il ballo dà a queste persone decide di creare qualcosa di importante.
E proprio sotto la stazione, in una sala di dopo lavoro ferroviario nasce ALI.
Ragazzi provenienti da tutte le parti del mondo come Afganistan, Ruanda, India, Russia, Albania, Sudan o Capoverte che con l’aiuto di Angela si accorgono che il tutto può diventare più possibile.
Iniziano ad allenarsi, a conoscersi e a creare un crew, che non soltanto balla ma forma anche un gruppo, delle amicizie che aiutano poi a sopportare di più i problemi che la strada regala.
Ora compongono anche opere teatrali che vengono rappresentate sottoforma di danza.
Ma come ogni storia per essere raccontata e capita ha bisogno di essere descritta proprio dalla protagonista:
Angela Cocozza
Giugno 2005.
Stavo dando una mano ad un coreografo hip hop per uno spettacolo, una sua giovanissima ballerina cubana spesso si assentava dalle prove ed un paio di volte sentii gli altri ragazzi dire che la trovavano al mattino presto alla Stazione Termini ubriaca e “fatta”. Una mattina alle 4 mi chiamano e mi chiedono di aiutarli a recuperarla perché è in un brutto stato. Non so perché, ma non ci ho pensato un attimo. Mi sono vestita e sono uscita nel buio della mia Roma. Così sono andata per la prima volta alla Stazione Termini ed ho visto con i miei occhi. Tra quei ragazzi strafatti all’alba dopo una nottata di baldorie ho riconosciuto anche la figlia di una mia cara amica. Sarebbe stato più facile voltarmi e farmi gli “affari miei”. Ma non ce l’ho fatta. Ho pensato: “Cosa posso fare? Cosa so fare veramente che posso mettere a disposizione di questi ragazzi? Non sono ricca, non sono potente, non sono importante, sono solo una donna con un figlio a carico per giunta, che costruisce la sua vita giorno dopo giorno per offrirgli un futuro. Però so ballare, questo lo so fare davvero ed il teatro è la mia casa. Così ho aperto loro le porte del mio mondo e loro, sono entrati”.