La mia regina

A Perugia? La trovi ovunque. Non c’è bisogno che ti allontani dalla città. La trovi in qualsiasi piazza, alla stazione, a scuola. Ovunque. È come Bologna: una piazza di spaccio alla luce del sole. Io la prendevo a scuola. Avevo quattordici anni quando ho cominciato a fare uso di canne. Ho iniziato con i ragazzi più grandi, con quelli dell’ultimo anno. frequentavo la prima superiore, ma uscivo con quelli del quinto: una cosa insolita, è vero, ma io sono un tipo solare e espansivo, mi faccio voler bene e faccio amicizia in fretta. frequentavo l’artistico, che è vicino alla stazione, luogo strategico, importante per lo spaccio di droga a Perugia. A scuola la droga girava: lo sapevano tutti, Anche il Preside. Ma cosa avrebbe potuto fare? Su mille ragazzi, novecento si facevano come minimo le canne. È difficile tenere a bada tutto. Anche io allora fumavo e basta. Poi c’è stata la fase dello spaccio. Ma quella è venuta dopo. fumavo quello che mi capitava. Mi ricordo che il mio sedicesimo compleanno l’ho festeggiato con due grammi di oppio. bellissimo… Certo tutto questo non aiutava il mio rendimento scolastico: il primo anno di liceo me la sono cavata e l’ho superato tranquillamente. Poi ho cominciato ad andare a scuola solo per fare “salina’, insomma per non andarci: arrivavo lì davanti e con un gruppo di ragazzi mi allontanavo e poi si decideva la meta della nostra giornata. Di solito andavamo nei parchetti, dove si fermano gli autobus: è lì che si mettono tutti. È un posto interessante per trovare la roba. Andavo lì, fumavo e staccavo la testa, smettevo di pensare, di ricordare.
La mia è una classica famiglia normale: genitori separati che si sono fatti la guerra. Mamma ha un negozio e papà lavora nell’Esercito. Si sono lasciati quando avevo quattro anni. Stavo con mamma. Mio papà lo vedevo i pomeriggi concordati. È stata dura la separazione. Lo sentivo l’odio da una parte e dall’altra. I commenti che l’uno faceva contro l’altro. Mi faceva male questa cosa. All’inizio non sapevo da che parte stare. Non volevo scegliere. Ma sentivo di voler stare con mia mamma: sentivo più calore, era quella la mia famiglia. Mamma è sempre stata molto apprensiva e molto chioccia. Papà, invece, un padre padrone. Portava il lavoro a casa. Era autorevole, militare, poco fisico, molto inquadrato. È una persona imponente, mi faceva paura. Usava le mani molte volte per farmi capire le cose. All’inizio cercavo di parlare con lui. Ma poi ho capito che era inutile: allora non mi sforzavo neanche di capirlo, lo subivo e non lo affrontavo. Mi diceva di fare una cosa e io obbedivo, come un soldato. E comunque, sapevo che in ogni caso qualcosa non sarebbe stato di suo gradimento e che sicuramente mi avrebbe picchiato. Ricordo una volta, avevo dodici anni, ero alla fine della terza media. Ero a casa di mio padre e facevo i compiti. Vedo che si veste sportivo ed esce a correre. Mentre sta uscendo, mi dice che, se non finisco i compiti prima che torna, mi prenderà a schiaffi. Poi esce e mi chiude a chiave dentro casa. Ho paura. Allora chiamo mia madre per chiederle di venirmi a prendere, ma anche lei ha le mani legate. Devo stare lì. Sono disperato. Provo a uscire di casa. non so come fuggire da quella prigione. Poi apro la finestra sul balcone e mi butto. Sono a un primo piano, ma cado male, provo a rialzarmi, ma non ci riesco. Mi trascino verso il recinto per scavalcare, ma non ci riesco. Mi accascio a terra e comincio a urlare, non per il dolore, non sento niente, ma per richiamare l’attenzione. Si affaccia il vicino che è un dottore. Mi dice di star fermo perché mi sono rotto tibia e perone. Dopo un po’ arriva mio padre, sudato. Ovviamente dichiara che era in casa, che si era allontanato un attimo, non che era andato a correre da un po’. Io sono minorenne, non potrebbe lasciarmi e oltretutto ha un lavoro così importante. Si arrabbia. Ha capito che volevo andare via, che stavo scappando. Da quel momento rimango sempre con mamma. Quando comincio a drogarmi, mia mamma non si accorge di niente. Poi inizia a notare che c’è un lassismo totale. Io suonavo pianoforte, chitarra, andavo a nuoto, karate e pian piano lascio tutto. L’unica cosa che mantengo è il calcio. Per questo pensa che forse sia una fase, che faccio troppe cose, che non tutte mi piacciono e che mi tengo solo ciò che mi fa felice davvero. Lei non si accorge di niente perché in realtà io riesco, nonostante tutto, a reggere il ritmo delle mie giornate: gioco a calcio, vado a casa, poi torno a estraniarmi, esco con i miei amici e torno nel mio mondo, ci sono e non ci sono, mi isolo e condivido, parlo e taccio. Quando comincio a drogarmi, prendo di tutto: mi faccio le canne, fumo l’oppio, poi arriva la cocaina, l’eroina, l’MD, lo speed, gli allucinogeni, i funghi. non ho freni. Se mi capita per caso tra le mani una nuova droga e vedo che mi piacciono i suoi effetti, allora la vado a cercare. A sedici anni, senza problemi, esco nel centro di Perugia e vado a fare “spesa”. Arrivo a spendere al giorno duecento/trecento euro. Come faccio ad avere i soldi? Rubo a casa. All’inizio mi basta. Poi, entrando in quei giri e avendo bisogno sempre di più soldi, devo cominciare a venderla: c’è fiducia da parte degli altri; conosco talmente tanta gente… e poi sanno che sono “a disposizione”. Vendo qualsiasi cosa: l’erba, l’MD, l’eroina. E io prendo di tutto, ma, poiché ho paura degli aghi, non mi buco mai: per questo non mi considero tossicodipendente, per questo non penso sia un mio problema; penso di poter smettere in qualsiasi momento. Anche perché il piacere della droga, di qualsiasi droga che prendo, dura poco tempo. basta una settimana, un paio di settimane e il corpo non sente più gli effetti positivi e sente invece solo la necessità di non andare in astinenza, di non star male. Anche per me quindi l’oblio arriva presto. Eppure riesco a trascinarmi così per molti anni, senza che mia madre capisca, intervenga, mi fermi. Intorno ai diciotto anni vado via di casa. Dove dormo? In stazione! Ci sono barboni, marocchini, c’è di tutto. Io sto dentro i treni. Oppure, quando non ci sono i treni fermi sui binari, vado nelle case abbandonate lì vicino. non mi faccio domande: sto là e basta. non mi rendo conto di niente. L’unico disagio è il freddo e il mangiare, ma in quello stato non mi pesa. non so per quanti mesi non mi lavo,ma a casa non voglio tornare, ho litigato con mia madre. In realtà ho un solo chiodo fisso: trovare i soldi per drogarmi. Allora rubo nei supermercati gli alcolici e li vendo agli anziani che stanno intorno alla stazione, così posso mangiare e comprare roba. Tutto questo dura un anno. Poi, un giorno, mi viene a prendere mio zio, fratello di mia mamma. Mi dice che di lì a poche ore ci sarà una retata e che c’è anche il mio nome. Ci penso per un po’ e poi decido di tornare a casa da mamma. Quando apre la porta mi dà uno schiaffo, poi si mette a piangere. Mi prende per mano, brucia tutti i miei vestiti, mi fa lavare in una vasca con tanta acqua calda, poi mi prepara da mangiare e mi mette a letto. Durante la notte, si stende accanto a me, mi abbraccia e si addormenta…
Eppure neanche questo mi aiuta a smettere con la droga: è lei che comanda, è la mia regina, la mia dominatrice. Dopo poco tempo rivado via di casa e comincio ad appoggiarmi dagli amici: prima vado da uno poi dall’altro. Aspetto che i miei amici rientrino a casa per poi organizzare i pomeriggi e le sere. Per rifornirci e per spacciare andiamo nella zona della stazione, al Duomo, dove c’è forse la più alta concentrazione di spaccio, poi nelle vie dietro il Duomo, all’Università degli stranieri, al parco dietro piazza Partigiani, non lontano dalla Scuola di lingue dei militari: non ci facciamo proprio problemi! Io continuo a rubare, a volte rubo anche la macchina di mia mamma e mio nonno: loro sporgono denuncia, poi la vengono a recuperare e mi tolgono la denuncia. Fa di tutto mamma per farmi capire che sto sbagliando, ma io niente, non la ascolto e continuo a trascorrere le mie giornate pensando solo a cosa comprare, dove spacciare e come procurarmi i soldi. Per un anno ancora vado avanti: sono stanco, anche se in overdose non sono mai andato.
Ma quante crisi di astinenza ho vissuto. Sono terribili le crisi di astinenza: vomito, ho freddo, tremo, mi viene da mordere e masticare, da grattarmi. Sono stanco: delle crisi, ma anche di spacciare, di rubare, di arrangiarmi, di non lavarmi, di scappare, di dormire male, di dover prendere qualcosa per dormire, di non fare niente nella vita, di trascinarmi come un sacco vuoto, di non sentire emozioni. Sono stanco e quando vedo alla stazione alcuni ragazzi che hanno dormito con me in stazione morti con una spada nel braccio mi impietrisco… sento di tutto in quel momento: paura, gelo, terrore e tutta la stanchezza di quegli anni. Torno a casa, dove c’è mia mamma pronta, ancora una volta, ad accogliermi. Rimango chiuso in casa due settimane. non riesco neanche ad alzarmi. Mi disintossico così, senza usare il metadone per scalare. È durissima. Mi fa male tutto, mi tirano i muscoli, non c’è una parte del mio corpo che non senta dolore, è come se dovessi buttare fuori da me un alieno. Ho freddo, mi sento livido e poi ho caldo, ho la febbre, vomito.
Intanto mia madre comincia a dirmi di far qualcosa, di pensare al futuro.
Passano due settimane e mi sento meglio. Allora provo ad ascoltarla e ad andare a diverse scuole. Ma non ho la testa. Per un periodo vado a lavorare in una azienda. Per tre mesi non mi faccio di niente, sono bravissimo, pulito, un ragazzo per bene, un figlio modello. Ma poi è un attimo, mi capita l’occasione e ricomincio: ma non esagero, fumo solo l’eroina, qualche volta prendo l’MD. In realtà provo a contenermi, ma non ci riesco davvero.
È in quel momento che mio padre mi propone di entrare nell’Esercito, così potrei avere un lavoro e soprattutto sarei inquadrato. Accetto e per prima cosa prendo la patente e il diploma da bagnino. Ma poi mi fermo: dovrei prendere la patente di tiro a volo e poi il brevetto da paracadutista, ma essendo stato fermato a quindici anni con dell’erba addosso sono segnalato e quando sei segnalato la Polizia e Carabinieri non ti prendono, nonostante la mia fedina penale sia pulita. fine del sogno. Un’ottima scusa per ricominciare con la bella vita: mi devo tirare su da questa delusione, in fondo… devo soddisfarmi e ricado velocemente nel baratro…Ma ancora una volta a salvarmi è mia madre: viene a  sapere che il figlio di una vicina di negozio è a San Patrignano. Mi parla, mi convince ad avvicinarmi all’Associazione di Perugia. Accetto. Anche io sono stanco, anche se non so cosa sia una comunità. Allora penso di entrare, vedere come è e decidere se rimanere. Quando vedo che è una struttura gigantesca piena di opportunità decido di restare. non è semplice, ma qui mi aiutano molto a superare dei limiti del mio carattere. Sono una persona che si annoia facilmente, che cambia idea continuamente e all’inizio ogni mese dico che voglio andare via.
È stata una domanda dei miei responsabili a inchiodarmi: che fai se esci? Una domanda che mi terrorizzava, perché sapevo cosa avrei fatto se fossi uscito. Per questo sono rimasto. E pian piano ho ripreso le redini di me stesso. C’è voluto un anno e mezzo per cominciare a controllare di più le mie emozioni. Ho cercato di far capire a mio padre che io sono così. Che non posso essere l’immagine che lui ha nella sua testa, non posso essere un suo clone e io non posso essere una sua ombra. non mi ha chiesto scusa, perché non può chiedermi scusa, ma se prima non mi ascoltava, ora almeno cerca di capire. Ora vive per aiutarmi, in parte.

Cosa che è difficile per lui. Mia mamma, invece, ho capito che lo faceva troppo. Con lei mi sono scusato di tutto ciò che ho combinato. Lei ha capito. Anzi lei è felice di vedermi così. Di vedere così il suo Giuseppe.
Non ho paura di tornare a Perugia: c’è mia mamma, mio fratello, il compagno di mia mamma. Io voglio tornare a casa perché voglio dare un esempio a mio fratello, che è più piccolo di me di dieci anni: non l’ho mai fatto e forse ancora mi deve conoscere davvero. Sono tante le cose che mi mancano della vita fuori, di casa: prima di tutto la libertà di movimento! Qui sei costretto ed è giusto così. Devi stare sempre al fianco di  un’altra persona. Ci sono orari da rispettare. Se voglio farmi il caffè non posso. non posso ascoltare la musica o vedere la TV o andare a pescare che è una mia passione. Ma le rifarò, quando sarò pronto a riappropriarmi totalmente della mia vita. Credo che proprio il perdere totalmente queste cose ti fa capire cosa ti toglie la droga: la droga ti toglie il sapore della famiglia, non lo senti più, non ti interessa di niente. Dai tutto per scontato e ti assale la monotonia. Quando arrivi qui, il non avere gli oggetti, i telefonini, la TV, gli agi a cui siamo abituati, ti costringe a trascorrere il tempo con te stesso, a riflettere, a coltivare i rapporti umani che la droga annulla e che comunque fuori si fa fatica a costruire. Quando capisci questo, quando ti pulisci di tutte le sovrastrutture, quando ti disintossichi l’anima, allora comprendi davvero cosa hai perso per colpa della droga e non vedi l’ora di cominciare a vivere davvero.

Giuseppe
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” N°34 Luglio 2019

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