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Sono la fan n.1 di mio fratello

Quando io ero piccola, stravedevo per lui. Era il maggiore e per me come un idolo. Il nostro era un buon rapporto, litigavamo sì, ma eravamo complici

Mi piaceva fare quello che faceva lui e lo prendevo da esempio, le cose sono durate così fino alla sua adolescenza, quando per esigenze di età e interessi ci siamo allontanati un po’. Poi per lui sono iniziate le prime uscite, le prime feste e da lì il delirio. Non avevo proprio capito nulla. Non avevo neanche la minima idea di cosa fosse la tossicodipendenza. Era qualcosa più grande di quello che immaginavo e di quello che emotivamente potessi sostenere. Ricordo che saltarono tutti gli equilibri e le armonie in famiglia, davvero un macigno da sopportare. Senza entrare in situazioni personali e critiche di quello che è il mio vissuto personale, le sensazioni che ricordo maggiormente sono: la rabbia, la tristezza e l’impotenza davanti a un fratello che c’è, ma non è presente; la fatica di essere sempre la sorella brava. Mi spiego.

Avendo un fratello tossico, le preoccupazioni, le ansie e le attenzioni erano rivolte a lui. Io ero quella bravina che si arrangiava, “tu pensa alle tue cose”, “non vedi tua sorella che brava”, “tu non ti preoccupare”, etc. etc.. Odiavo essere quella brava, quella presa sempre a paragone, quella che si arrangiava. Perché i miei problemi, in confronto, non erano nulla. In famiglia si tendeva a mentire e a dire che andava tutto bene, questo anche per me era un peso… perché non andava affatto bene. Si stava male, si soffriva, si litigava per motivi allucinanti, per non ammettere il vero problema. Mio fratello più cresceva e più prendeva le distanze… non era autonomia, era dipendenza. Allontanò tutti, me compresa. Era inavvicinabile, irraggiungibile e soprattutto non presente. Avvertivo una rabbia nei suoi confronti che mi mangiava il fegato, spesso avrei voluto prenderlo a botte, insultarlo, urlargli contro.

Era il solo sentimento presente in me. Fino a quando non riuscii ad ammettere che quella rabbia, nascondeva la nostalgia. A me in realtà mancava da morire e facevo fatica ad ammetterlo. Io ce l’avevo con lui perché era sparito.

Come mi comportassi era assolutamente indifferente, che fossi presente o meno per lui era esattamente uguale. Ero impotente, non potevo farci nulla.

E mi faceva arrabbiare.

Mio fratello non mi conosceva più, non sapeva cosa mi piacesse o no, cosa facessi, se prendevo il caffè amaro o dolce. Il sangue del mio sangue non c’era più, ma non era morto. Era una presenza lì da qualche parte e il solo pensiero mi provocava rabbia, tristezza, ansia e frustrazione. Accettare che fosse così è stato un percorso di anni. Avevo vissuto quel periodo come un lutto, senza però perderlo completamente.

All’inizio vivevo la cosa talmente male che mi era difficile parlarne anche con amici. Scappavo a piangere subito. Dopo un lungo percorso, riuscii a sopportare la cosa in maniera diversa e a parlarne più tranquillamente. Sono passati dieci anni da quando mio fratello mi ha abbandonato e sono state montagne russe da vertigine: liti, discussioni, ansie, tristezze, crisi, non era un bel clima da respirare. Il fatto che ora sia a San Patrignano è una grossa tappa per me e la mia famiglia, sapere di questa scelta ha rallegrato gli animi di tutti. Ora, come quando ero piccola, sono di nuovo la fan numero uno di mio fratello in questo percorso. Lo stesso affetto, la stessa stima e complicità le sto rivivendo come tanti anni fa. Riscoprire quelle sensazioni e dargli modo di esprimersi sono tra le gioie più grandi che ho. Quei sentimenti e il legame che ci unisce sono stati soffocati e non coltivati per troppo tempo e ora hanno modo di esprimersi liberamente.

Miriam

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo