Via Prione è illuminata. Il Natale è appena trascorso. Per strada facce sorridenti e soddisfatte. Vite appena riempite da straripanti e zuccherine effusioni familiari, da sorrisi che accompagnano pacchetti regalo sormontati da sfarzosi fiocchi. Guardo tutto ciò, lo scruto, cerco di capire cosa o chi spinga quelle persone. Non riesco a darmi una risposta.
Quello che so di per certo è che Ema è in ritardo. L’appuntamento era qua, ne sono sicuro. A Spezia, di giungla, c’è né una soltanto, non ti puoi sbagliare, un piccolo pezzo di parco tra viale Italia e via Diaz che si affaccia sul lungo mare. Poco più di un ettaro nel quale puoi sentire parlare mille lingue, ma l’Italiano è raro. E’ uno di quei luoghi che nelle grandi città chiamano centrale della droga. Ma qui non siamo in una grande città, non siamo in una metropoli: questa è la Spezia dei container, non la Milano dei manager e dei locali.
Fa freddo, ma il freddo che sento io è diverso. Non è un freddo comune, fisiologico. Il gelo che mi attanaglia è interiore e intimo, dallo stomaco si propaga in tutto il corpo. E’ una sensazione alla quale non ci si abitua mai, ma con la quale si impara in qualche modo a convivere, per tirare avanti, quando non ce la si fa più a guardare dal basso la propria vita.
Eccolo che arriva, sorridente, come se niente fosse. Mi saluta, la prima cosa che mi chiede è se ho i soldi, solo dopo mi domanda se sono sicuro di quello che sto per fare. Io a quella domanda non rispondo, gli passo solo i soldi e il telefono per chiamare il tipo. Non sono sicuro è vero, ma ho scelto, consapevolmente di abbandonare l’ultimo tabù che mi era rimasto. Penso dentro di me, mentre continuo a guardarmi attorno, che tutto in quel momento mi fa male, persino l’aria che respiro. I miei sono in vacanza sulle alpi francesi. Io non sono andato per stare con lei. Avremmo trascorso le vacanze insieme. Giorno, notte insieme. Io e lei. Ma lo volevo solo io. Lei, la mia ragazza, se ne è andata. Ci mancava pure questa. Non c’ è niente che va. Niente, proprio niente che va. Sono solo. A casa non mi aspetta nessuno. Ho deciso. La compro. Una dose di Brown.
Un batter d’occhio e la location cambia, siamo nella Clio scalcinata di Emanuele pronti per quello che per lui era un rito oramai consueto, mentre per me è l’inizio, la prima volta. Appena lo stantuffo arriva a fine corsa il freddo scompare, tutto dentro la mia testa tace, il silenzio ha il rumore del mio cuore, un torpore che copre tutto, avanza con un formicolio verso le estremità e una sensazione di quiete si impadronisce di me. Via tutto: l’indifferenza della mia famiglia, via i tradimenti di Martina, via le mie insicurezze, senza lasciare alcuna traccia. Poi il buio.
Un buio durato anni, interminabili e sterili, nei quali non ho più sentito la mano calda di quel giorno. Ricordo però i morsi dell’astinenza, l’isteria per un altro buco, la mia vita completamente a rotoli.
Vivo questo flash back con le stesse emozioni che lo hanno creato, rancori e debolezze sciolti in una fialetta che non mi ha mai più restituito i miei vent’anni.
E’ passato un altro Natale, il decimo da quell’anno, un terzo della mia vita che mi ha visto correre in discesa. In discesa è vero, ma anche pronto ad affrontare la salita che mi ha portato sulle colline di Rimini, a San Patrignano, in quella che oggi è la mia casa. Con la certezza che il freddo finalmente è fuori dalla porta.
Luca
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.