Anima fragile

La mia generazione. I giovani, parlo di me, di noi di come viviamo il mondo. Noi ragazzi che non sappiamo chi siamo, noi che ci sentiamo il niente e che per sentirci qualcuno e per colmare il vuoto che è in noi, diventiamo dipendenti, schiavi di qualcosa che non ci fa pensare, e che a mano a mano ci spegne

Sfuggire dai problemi e dalle difficoltà che inevitabilmente la vita ti mette di fronte senza nessun preavviso e pensare che quasi sempre inizia tutto per gioco un tiro di canna per sentirsi più forti, per sentirsi parte di un “gruppo”.

Sentirsi qualcuno. Quando si è giovani ci si sente invincibili, si pensa di aver capito tutto dalla vita, non si hanno limiti ogni giorno potrebbe essere l’ultimo senza preoccupazione l’indifferenza da tutto senza rispetto ne per se stessi ne per gli altri. Ho 18 anni e prima di varcare il cancello di San Patrigano anche io ho vissuto in quel mondo, in quella Roma senza prospettive, ricordo bene l’odore di Roma, quell’odore che ti fa pensare di poter far tutto, vivere al massimo ogni giorno sempre peggio, senza freni, senza paura.

Noi ragazzi abituati cosi, noi che vogliamo sempre di più, noi che non sappiamo aspettare, noi giovanotti del “tutto e subito” cresciuti così. Tutto è concesso abbandonati a noi stessi come cani randagi, l’indifferenza ai genitori e vivere oltre ogni limite diventa abitudine quotidiana. Mi chiedo cosa starei facendo adesso se fossi in un posto diverso da questo con gente diversa da questa. Penso ad una piazza con tanta gente, riesco a immaginare ogni dettaglio chiudendo gli occhi riesco a sentire il rumore delle bottiglie di vetro poggiarsi sul muretto, a sentire l’odore del fumo di una sigaretta sulla pelle dei ragazzi impregnato sui loro vestiti. Riesco a percepire quella carica di spensieratezza mista ad una imprevedibilità che è capace di dare gioia. Poi rifletto più a fondo e guardo anche l’altra faccia della medaglia, che per carità è tante cose ma non è esattamente fiabesca come al primo impatto il mio cervello può proiettare. È anche squallida, marcia e degradata, quella piazza, quei ragazzi sono anche carichi di sofferenza e di forme di malessere. Anche io un tempo facevo parte di quella “piazza”, mi andava bene così, fosse stato per me da quello stile di vita non mi sarei mai distaccata: mi svegliavo la mattina pensando a come svoltare la giornata, a come trovare i soldi per pagare i debiti. A mente lucida mi immagino fuori da questo posto in altre circostanze, in altre situazioni.

Ripenso a una forma di energia che infiamma, che dà fuoco a tutto ciò che ho intorno, il mio carattere forte che è facile supporre con la droga non può far altro che diventare distruttivo in particolari occasioni quasi pericoloso. Riesco ad immedesimarmi bene nei panni dei ragazzi della mia generazione, so cosa si sente, cosa si pensa, so cosa si vive e cosa si prova. Sono sempre stata uno spirito libero, una sognatrice e quando quello stile di vita mi apparteneva mi sentivo ancora più libera, in quel mondo artificiale, tra quella gente più grande, tra quegli sguardi falsi e complici. Lì dove non c’era né il rispetto né la sincerità, tutto girava intorno alla sostanza, agli inganni abituali. Era tutto normale quando ero dentro a quel vortice, per me era vivere.

A distanza di un anno mi rendo conto che la vita è tutt’altro e che si è liberi quando non si dipende da niente e nessuno, quando si è se stessi e non si ha paura di esserlo. Non è facile capirlo. Prima di accettarlo, anche io ce ne ho messo di tempo, sono entrata in Comunità non per scelta mia, ma per un decreto del Tribunale dei Minori, sono stata obbligata e non avevo nessuna intenzione di cambiare la mia vita. La vita per me era andare alle feste e sconvolgermi fino a non capire più niente, con quella musica che mi entrava dentro, le luci e quella carica, le gambe che andavano da sole, l’atmosfera che si trasformava. Le facce cambiavano, gente che entrava e usciva dai bagni e la notte era carica di sballo. In fondo era quello che volevo, stare in giro la notte, l’odore della notte e di quello che ogni volta poteva accadere. I volti dei miei genitori distrutti, arresi e disperati quasi impotenti. I loro occhi chiedevano aiuto, cercavano ogni giorno di farmi ragionare su come si stesse al mondo, dei pericoli che rischiavo, dei giorni che non tornavo, il telefono sempre staccato e i poliziotti che arrivavano a casa quando mi prendeva la pazzia e diventavo un demonio. Ricordo bene i loro occhi e il senso di fallimento che si portavano dentro. Ma a me non fregava nulla. Io avevo capito tutto dalla vita, erano loro che non capivano nulla. Di Carolina facevo vedere solo la rabbia, ero avvelenata e avevo bisogno di trasgredire continuamente per sentirmi bene, di essere folle in ogni circostanza senza alcuna differenza io stavo bene così.

Posso dire però che sapevo (come penso ogni tossico) che infondo stavo facendo proprio una di quelle enormi cazzate che ti cambiano la vita inevitabilmente. Ho passato i primi mesi di Comunità contando i minuti, i giorni pensavo di fare diciotto anni e uscire. Me la vivevo come una “condanna”. Poi con il tempo qualcosa è cambiato, non so bene cosa ma questo posto mi ha fatto rivivere. Sono diventata maggiorenne da un mese e ho fatto la scelta di rimanere, ci provo ponendomi degli obbiettivi strada facendo. Non è facile rinunciare a tutto, ma questo percorso mi sta insegando a vivere con gli altri, a rispettare e a dare valore a tutto ciò che fuori da qui si dà per scontato.

Le piccole cose che impari ad apprezzare quando non ce le hai, desiderare e saper aspettare senza nessuna pretesa perché la vita è fatica ed è fatta di sacrifici. Il mio stile di vita è stata una mia scelta io avevo scelto di non scegliere la vita, avevo scelto qualcos’altro, ho sentito l’angoscia nel petto e la sensazione di sfondare in un abisso, in quel limbo di non ritorno. Ho provato quella tristezza nell’animo che te lo sfonda che se fai abbastanza silenzio riesci quasi a sentire il tonfo. Per mesi ho sentito un senso di malinconia che mi offuscava la mente. Ero terrorizzata, impaurita e arrabbiata. Ovunque mi giravo vedevo solo dei gran muri, alti e grigi scuri. Mi mancava la mia vita per quanto instabile e precaria.

Guardo avanti e finalmente vedo la luce. I miei occhi sognatori che fuori da qui si erano spenti ed erano diventati freddi, privi di significato hanno ricominciato a brillare, a piangere, a vivere di emozioni ma soprattutto hanno ripreso a sognare ad amare la vita e a viverla nella sua semplicità. La strada davanti a me sta diventando pianeggiante dopo tante salite che mi sembravano infinite e impossibili. Ho scelto questa strada, per una volta voglio combattere non voglio sfuggire dai problemi, per troppe volte ho preso scorciatoie e per troppe volte ho sbattuto la testa. Ho trovato una mano tesa che mi ha accolto, un abbraccio che mi ha stretta nei momenti di sconforto, ho trovato chi mi ascolta veramente e chi ogni giorno rimane e non si stanca mai di conoscermi. Mettendo da parte l’egoismo guardando dentro le proprie paure, per capire perché è cominciato tutto prima che fosse troppo tardi.

Ora sono libera, sto assaporando il sapore della vita. Mi immagino in futuro con uno zaino in spalla alla scoperta del mondo. Il mondo è grande e vario, interessante, intenso, meraviglioso, felice, triste, pieno di vita: voglio scoprirlo sarà bello ritrovarmi davanti all’immensità del mare e lasciarmi trascinare dall’emozione che potrà scoppiarmi dentro. Spero di arrivare alla fine di questa strada forte e decisa per combattere con i leoni qui fuori, in questa società difficile. La mia anima fragile si è già sgretolata troppe volte, ora si stanno ricomponendo i pezzi e spero che la mia anima resterà fragile ma anche guerriera.

Carolina

Tratto da “SanpaNews – voci per crescere” n° 30 – marzo 2019
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