Toppe

Da piccolo ero un bambino molto vivace, correvo da tutte le parti e cadevo spesso.
Mia madre, per non essere costretta a buttare via un paio di pantaloni al giorno, mi cuciva delle toppe sui vestiti. Erano degli ovali di stoffa, spesso di colore diverso da quello della tuta sulla quale venivano cuciti. A volte, addirittura, una di un colore e una di un altro.
Mia madre cuciva con ago e amore dei nascondigli per le mie ginocchia scorticate, rammendava con pazienza i miei vestiti strappati.
Ora sono cresciuto e non porto più quelle tute colorate, ma quelle toppe si, quelle toppe me le porto ancora dentro. Le uso continuamente per rammendare la mia vita, perché non posso buttarne via una al giorno.
Sono toppe fatte di parole che uso per recuperare i discorsi strappati, o quelle frasi che per errore sono scivolate su cose che non avrei voluto dire.
Sono toppe fatte di carezze e consolazioni, le uso ogni volta che il mio cuore cade e si scortica le ginocchia.
Non ho ancora imparato a cucire bene come faceva mia madre, a volte le mie toppe si staccano e si vede che la mia vita è rammendata.
Però io di vite ne ho una sola, quindi continuerò e cucire e ricucire toppe sui miei errori, non per nasconderli, ma per provare, almeno, a rimediare.