Diventare una donna

Voglio esserci per gli altri. Voglio diplomarmi, prendere la patente. Voglio che i miei genitori mi guardino e possano essere fieri di me. Cose che forse sono banali per molte persone ma che io non avevo mai provato in vita mia, anzi: erano tutte le cose che stavo per perdere

Penso che per qualcuno sia strano sentire una ragazza dire: “voglio essere una figlia modello”. A sedici anni mi sarei messa a ridere anche io, se qualcuno mi avesse parlato così. Certe cose però non le ho mai avute, è per questo che mi ha sempre fatto male, vedere persone così diverse da me che riuscivano a star bene. Quindi proverò a spiegare, a raccontarvi cosa mi è successo. Non ricordo molto della mia infanzia. A volte mi capita di rivivere qualche momento. Mi appaiono brevi flash: mia madre che sta male e mio padre che non c’è. Mamma tra depressione e alcool non riusciva a starmi dietro. Questo è stato uno dei motivi per cui mi sono trasferita da mia nonna. Esco di casa, vado a chiedere aiuto ai vicini. Rientro di corsa, in attesa che arrivi qualcuno. Mamma sviene, cade. Provo a darle qualche schiaffo in faccia per farla riprendere. Stava collassando, non potevo capirlo, avevo solo quattro anni. Papà non c’è. Non c’era mai. La mia infanzia l’ho passata con nonna. Quando stavo da lei stavo meglio, non mi è mai mancato niente, però soffrivo molto perché non c’erano con me i miei genitori. Delle sere sentivo così tanto la mancanza di mia mamma che arrivavo ad avere la febbre alta. Poi appena lei staccava dal lavoro e veniva a farmi visita, la temperatura calava all’improvviso. Nonostante tutto le cose andavano bene, fino alla prima media. Ero una ragazzina tranquilla, mi piaceva studiare. Nella nuova scuola i miei compagni di classe mi parlavano solo per copiare i compiti e tutto il resto del tempo lo passavano a prendersela con me. Per un periodo ho avuto il timore di uscire di casa perché erano sempre lì, pronti a farmi del male, mi ritrovavo in mezzo a cerchi di 10, 20 persone. Non sapevo come fare, non lo dicevo a nessuno. Preferivo sentire il male che mi facevo io da sola, piuttosto che quello che mi facevano gli altri. Una sera ero seduta su dei gradini con un’amica, quando si avvicina un mio compagno di classe assieme ad altri suoi amici. Pensavo che da un momento all’altro sarebbe successo il peggio. Invece no. Quella sera, quel ragazzo si è avvicinato a me con una canna in mano e io ho subito pensato che quello poteva essere il momento di diventare finalmente uguale a loro. Senza pensarci due volte ho accettato e ho fumato, poi insieme alla canna girava anche una bottiglia di vodka e poco dopo ho accettato anche quella. Quella la ricordo come la sera del “primo blackout”. Quando mi risveglio, intorno a me non c’era più nessuno di loro, c’era mia mamma con i carabinieri. Cos’era successo? Avevo avuto il mio primo coma etilico. Inizia il mio periodo di ribellione: decido di tornare a casa di mamma, a scuola un disastro. Bocciata un anno, e poi un altro. Sfogavo la mia rabbia sugli altri diventando aggressiva e violenta. Eppure andava bene. Sì, stavo trovando il modo per farmi accettare e così da vittima sono diventata carnefice. Dopo un paio di anni mi fidanzo con un ragazzo dieci anni più grande di me e la mia vita va a gonfie vele. Tant’è che una sera lo becco a fumarsi l’eroina, senza spiegarmi nulla lui mi ha passato tutto. Io ho accettato, ho preso quel foglio d’alluminio e ho fumato. Non me ne fregava niente. Quella sera eravamo soddisfatti entrambi: lui per essere arrivato al suo scopo di farmi cadere in una dipendenza, io per aver trovato un qualcosa che non mi facesse sentire più tutto quel dolore che mi portavo dentro da quando ero piccola. Quando fumavo sentivo una tranquillità infinita, non provavo più niente e mi sentivo intoccabile. Presto ho iniziato a rubare, poi a spacciare. È stato un susseguirsi di anni molto particolari. Quando entri in quel mondo le situazioni difficili sono all’ordine del giorno ed è un attimo che diventino pericolose. La prima la ricordo benissimo. Era la sera del 6 settembre 2018. Mi ero riavvicinata al mio ex, dopo quattro anni che non ci vedevamo. Mi sentivo sola, ed eccomi di nuovo al suo fianco. Assieme a lui c’erano anche dei suoi “amici”. All’improvviso scatta una rissa, non so ancora per colpa di chi o per cosa. Nonostante fossi piena di droga e alcool non scorderò mai quella sensazione di paura, la mia vista annebbiata e quella sagoma che mi rincorreva. Oggi è tutto sfocato, ma ricordo ancora la paura di non sopravvivere e le mie ultime parole, mentre cercavo aiuto con un filo di voce. Da quel momento nella mia testa c’è solo buio. Mi sono risvegliata in ospedale. Stavo malissimo, l’unica frase che ripetevo sottovoce era per i miei genitori: “Scusate per tutto quello che vi ho fatto”. Ma come tutti i tossici, solo nei momenti di pericolo mi sono tirata indietro e ho promesso di cambiare vita, di non toccare più nulla. E appena ne ho avuto la possibilità sono ritornata a farmi. Volevo distruggermi e basta. Dopo 10 giorni ho avuto un’altra overdose, la terza e forse la più pesante. Avevo capito che poteva essere l’ultima. Forse non si può chiamare “destino” ma è stato allora che mia mamma è riuscita a prendere la sua prima posizione nei miei confronti. Io e lei abbiamo sempre avuto un rapporto di complicità ma penso che in quel momento lei abbia davvero avuto paura di perdermi da un momento all’altro. Quella paura le ha dato la spinta di cacciarmi da casa. Io sono andata via senza dire nulla, anzi ero quasi soddisfatta perché tanto avevo la convinzione di sapermela cavare da sola in strada, come avevo sempre fatto. Invece no. Quella volta non è andata proprio così. Ero stanca di dormire in mezzo all’umidità e sentivo che il mio fisico non reggeva più. E cosi con i miei 33 chili e le mie ultime forze ho chiamato mia mamma e gli ho detto che volevo entrare in Comunità. Dopo diciotto giorni sono arrivata qui, a San Patrignano. Sono fiera della donna che sto diventando. Ho fatto tanta fatica, passo dopo passo mi sono ripresa la mia dignità e ho lottato per la mia vita. Grazie alle persone che mi sono state vicine sono riuscita a superare le mie difficoltà e a combattere per diventare una persona migliore. Se penso al mio fallimento più grande mi viene subito in mente di essere stata un fallimento come figlia, ma ad oggi finalmente è diverso. Oggi sto cambiando. E voglio sentirmi quella figlia che ogni genitore vorrebbe avere.

Articolo di  Teresa tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 66 marzo 2022
Per scoprire come riceverlo: https://www.sanpatrignano.org/sostienici/sanpanews-voci-crescere