Rovinarsi così, per gioco

Il gaming da parte di adolescenti è aumentato in misura esponenziale, facendo da causa o effetto di comportamenti disadattativi come l’allontanamento dalla scuola e dai propri pari. A differenza di alcol, fumo, droghe e azzardo, questa tipologia di gioco è lecita, socialmente accettata e facilitata dall’accesso a Internet

A partire dall’ultimo decennio, l’uso dei videogiochi (o gaming) è aumentato da parte di adolescenti in misura notevole. Molto spesso queste attività hanno solo scopo di divertimento, ma i giocatori più assidui tendono a manifestare “comportamenti disadattativi, come l’assunzione di uno stile di vita compromesso nelle funzionalità vitali o il progressivo allontanamento dalla scuola e dai propri pari”. A dirlo, la pubblicazione sulla rivista internazionale Addiction, intitolata “Problematic gaming risk among European adolescent: A cross national evaluation of individual and socioeconomic factors”, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche il dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova e l’università australiana Flinders University.

La ricerca ha “indagato in quale modo fattori individuali, sociali e contestuali a livello nazionale possono essere associati ad un maggiore rischio di gaming problematico negli adolescenti europei”. Tenendo conto che, a differenza di sostanze illegali o almeno regolamentate come alcol, fumo e droghe, ma anche del gioco d’azzardo conosciuto come gambling, questa tipologia di gioco è del tutto lecita, socialmente accettata e facilitata dall’accesso a Internet. Ne è conseguita una crescita tale del fenomeno da suscitare la preoccupazione di istituzioni e media: non per il gioco in sé ma per i risvolti negativi che l’uso sproporzionato può causare. Grazie ai dati forniti dal progetto europeo ESPAD, i ricercatori hanno potuto analizzare i dati comportamentali di circa 90 mila adolescenti di 15-16 anni, residenti in 30 paesi: lo studio ha rilevato che un ragazzo su cinque è “ad alto rischio di gaming problematico”. Il paese in cui sono registrati i valori più bassi è la Danimarca (12%), mentre per gli adolescenti italiani il “rischio di gaming problematico risulta superiore alla media europea, pari al 23,9%”. Lo studio ha mostrato anche come il rischio sia più diffuso tra i maschi (30,8%) che fra le ragazze (9,4%). Al di là del genere, il sostegno della famiglia e le politiche nazionali aiutano a evitare che gli adolescenti sviluppino un uso problematico del gaming. Da uno studio condotto dal Laboratorio di Epidemiologia e Ricerca sui Servizi Sanitari CNR (Sabrina Molinaro, Emanuela Colasante ed Elisa Benedetti) e dal Laboratorio Internet e Dipendenza della Scuola di Psicologia dell’Università degli studi di Padova, è emerso che “a livello nazionale, sembra che gli investimenti dei governi nelle politiche di salute pubblica, come la concessione di benefici fiscali per le famiglie, possano determinare un decremento notevole degli adolescenti che sperimentano problemi legati al gaming”. L’indagine mostra anche come la “presenza di regole chiare stabilite dai genitori e un supporto emotivo fornito dalle famiglie sembrano agire come fattori di protezione per il gaming problematico in adolescenza”. Gli autori della ricerca evidenziano come, per converso, spesso siano gli adolescenti che vivono in paesi dalle forti disparità sociali a sviluppare rischi maggiori. Altri studi sembrano confermare questa tendenza. Il sondaggio dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) ha svelato che su un circa 1.300 ragazzi, di età compresa tra i 10 e 25 anni, “per oltre un quarto del campione, il videogioco è un regolatore dello stato emotivo”: il 34,6% lo usa per uscire dalla noia, il 33,6% per acquisire competenze, l’11,2% per creare una realtà parallela, il 20,6% per conoscere nuove persone. Lo psicologo e presidente dell’associazione, Giuseppe Lavenia, sottolinea che passare tra le 7-8 ore davanti ad uno schermo “può anche voler dire autoisolarsi per non vivere appieno la socialità, preferendo quella mediata dal videogame” così da “costruirsi un’immagine più simile a quella che vorrebbero”. Essere bravi a giocare, afferma Lavenia, diventa “elemento di affermazione sociale e, anche per questo, si sta diffondendo l’usanza di investire somme di denaro a volte notevoli per acquistare virtual goods all’interno delle piattaforme videoludiche”. Secondo lo studio, circa il 60% ha speso in tal modo più di 50 euro e un soggetto su 3 circa 100 euro. Importante è anche l’impatto sulla scuola, per oltre un terzo del campione il tempo speso a giocare ha peggiorato l’interesse verso lo studio, mentre per il 31,3% ha abbassato il rendimento scolastico. Assimilandosi a una vera e propria dipendenza, la compulsione di giovani che passano intere giornate di fronte ai videogiochi necessita di strutture di cura. È nato così a Roma, presso il Policlinico Gemelli, il primo ambulatorio italiano specializzato. Tutti i giovedì, medici e psicologi ascoltano e cercano di affrontare i disagi che hanno portato questi ragazzi a vivere da reclusi in casa. Una mamma confessa che il “figlio non esce più di casa, si rivolta a noi con aggressività e mi ha perfino messo le mani addosso”. Spiega Federico Tonioni, fondatore del centro e responsabile dell’area delle Dipendenze da sostanze e comportamentali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si tratta di “giochi eccitanti e compulsivi”, quasi sempre “quelli in cui il protagonista uccide gli altri, usati dai ragazzini come valvola di sfogo della loro rabbia”. Per Tonioni, il motivo di questa rabbia è la mancanza della figura genitoriale e il rischio è che “i ragazzini sviluppino una personalità compulsiva, ripetitiva e problematiche psichiche che possono sfociare nello scollamento totale dalla realtà”. Secondo gli esperti, però, a volte è anche il comportamento eccessivamente apprensivo dei genitori a causare questo isolamento sociale. La paura di quello che è fuori trasforma la rete nel luogo sicuro dove socializzare, e “i giochi multiplayer sostituiscono quelli che, anni addietro, erano i giochi di strada: guardie e ladri si trasforma nel gioco ‘sparatutto’, nascondino diventa un monitor da cui non distogliere lo sguardo. Quello che si faceva nel cortile sotto casa, oggi si tende a fare in digitale. E così la rabbia, tra le mura domestiche che difficilmente si aprono, si autoalimenta”. Trovare causa e rimedi, comunque, non è semplice. Il consiglio di Tonioni ai genitori è soprattutto di passare più tempo con i propri figli, perché “sono gli adulti stessi ad essere stati sedotti da internet, e spesso si tende a trasmettere questa seduzione ai figli, perché non c’è una baby sitter più efficace, più formidabile e più a basso costo di un tablet, di un telefonino o di una qualsiasi applicazione digitale”. Insomma, i videogiochi non sono la causa dell’isolamento ma un effetto.

Articolo di Gianmaria Carpino, tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 67 – aprile 2022
Per scoprire come riceverlo: https://www.sanpatrignano.org/sostienici/sanpanews-voci-crescere
Photo by Fredrick Tendong on Unsplash