Elanor (Lo specchio e il cannocchiale)

Il numero venticinque di Via Delle Betulle è un cubo di dieci piani, l’unico edificio che supera i dieci metri d’altezza, l’unica imperfezione sul profilo di un paesino pieno di case rustiche e villette contadine.
Non è altro che una cicatrice sul volto di un paesaggio altrimenti morbido e armonioso.
Ecomostro, fu definito quando finirono i lavori. Doveva essere il primo edificio di quello che sarebbe diventato un nuovo quartiere, un’idea poi abortita della quale è rimasta solo una bozza, un accenno. Un cubo di dieci piani.
Il numero venticinque di Via Delle Betulle.

Elanor è davanti allo specchio, è entrata nella cameretta di suo fratello Ronald ed è sola in casa. Lo specchio è grande, si riflette la figura intera, il corpo è magro, lungo.
Elanor si avvicina alla propria immagine e si guarda il viso da pochi centimetri di distanza. Prima solo con un occhio, poi solo con l’altro. Si da il fondotinta, lentamente, con cura.
C’è musica nella stanza, è rock, un gruppo inglese di cui non ricorda il nome, però le piace. Ondeggia al ritmo ipnotico del basso e cammina verso la finestra.
Sul comodino c’è una foto di suo fratello e suo padre al fiume, quando era piccolo andavano spesso insieme a pescare, adesso non succede più.
Affacciato alla finestra, su un piedistallo a tre piedi c’è un cannocchiale, è stato regalato a suo fratello il giorno del suo ottavo compleanno. A Ronald piaceva guardare le stelle, sapeva i nomi delle costellazioni e tutte quelle cose li.
Lei, se guarda il cielo stellato pensa al mondo vestito in abito da sera con addosso una giacca di paillette nera.
Avvicina l’occhio al cannocchiale e sbircia.
A poche centinaia di metri c’è il cubo, quel palazzaccio orribile che rovina il panorama, molte finestre sono aperte e con le luci accese.
Elanor spia nelle vite delle persone, è curiosa, ma non è solo la curiosità che la spinge a guardare. Elanor cerca.
C’è qualcosa in lei che non le piace, prova a nasconderlo e ignorarlo, ma non ci riesce, allora cerca i nei nelle vite degli altri, i difetti, le imperfezioni.
Lo fa per sentirsi come loro, lo fa per sentirsi come tutti.

La prima finestra in cui guarda è al primo piano, c’è un decapitato che passeggia per il salotto facendo la spola tra il tavolo e il frigo. Il locale è arredato male, i mobili sembrano rimediati un po’ qua e un po’ la. Le luci sono basse e lui è talmente alto che la testa non si vede, è magro anche, molto magro.

Elanor si riavvicina allo specchio, la musica l’accompagna incessante.
Si mette di profilo, in posa, si guarda nella luce bassa della camera e si piace. Più seno non guasterebbe, ma anche così va bene.
Torna alla finestra, appoggia l’occhio al cannocchiale e ricomincia a cercare.

Al terzo piano, sulla sinistra c’è un’altra finestra aperta, l’unica luce che si vede all’interno è quella del televisore, illumina un ciccione in canottiera che guarda qualcosa, forse la partita, e mangia popcorn da un sacchetto.
“Così è troppo facile ” pensa Elanor, “quello peserà centoventi chili ed è pure mezzo pelato”.
Continua a guardarlo, sprofondato nella poltrona e si diverte a immaginare i dettagli della sua vita, quelli che non può sapere. Pensa a quale possa essere il suo lavoro e già si immagina i colleghi che lo prendono in giro.

Si riavvicina allo specchio trattenendo la pancia e guardandosi, prima di fronte poi di profilo, la sua pancia piatta le sembra più bella ora, qualcuno guardandola potrebbe invidiarla, e il ciccione laggiù sarebbe tra quelli.
C’è un’altra cosa che quel mangiatore di popcorn le invidierebbe di sicuro.
I capelli.
Li ha castani e lunghi fin sotto le spalle, folti e morbidi.
Adesso come adesso avrebbero bisogno di una sistemata, uno shampoo e magari un taglio, ma sono belli e sani, le sono sempre piaciuti molto.
Comincia una nuova canzone, la batteria parte frenetica a un ritmo incalzante.
Elanor balla, e guarda tutt’attorno la cameretta del fratello.
Ci sono poster di cantanti e ragazze in pose provocanti. Poi altre foto di lui da bambino, il primo giorno di scuola, una gita in una città che non riconosce e una foto di quel giorno a Mirabilandia con mamma e papà.
Elanor smette di ballare e ritorna alla finestra, ricomincia a cercare difetti nelle vite degli altri. Questo gioco comincia a piacerle, comincia a sentirsi più sicura di sè e meno critica nei propri confronti. Comincia a rendersi conto che forse davvero da vicino nessuno è normale, questo la rassicura e la fa sentire più simile al resto del mondo.

Al secondo piano c’è una camera da letto, le luci sono basse, ma forti abbastanza da permetterle di vedere all’interno. Ci sono un uomo e una donna a letto, non dormono, si abbracciano e si coccolano, è evidente che hanno appena finito di fare l’amore. Sono coperti dalle lenzuola solo dalla vita in giù.
Elanor continua a spiare la loro intimità, ma non c’è niente di erotico in quel gesto.
Il suo sguardo è una carezza che sfiora quei due corpi da lontano.
Il suo sguardo è una mano che tende la superfice della realtà per renderla più nitida, come fosse una pellicola spiegazzata.
Continua a guardarli, avranno poco meno di quarant’anni, i capelli rossi di lei spiccano sul bianco del cuscino, tiene le gambe incrociate e raccolte. Lui si sta vestendo, è in piedi e ogni tanto si china per darle un bacio, prima sul ginocchio, poi sulla spalla.
Si amano.
Questo è evidente.
Ed Elanor li invidia.
L’uomo ha finito di vestirsi e adesso è sulla porta, la donna l’ha seguito. Si baciano, poi lui se ne va. Lei torna in camera, rifà il letto, spalanca le finestre e riordina i vestiti sparpagliati per la stanza, poi va in bagno a farsi una doccia.
Elanor è gelosa, invidia quel momento perché le è sembrato perfetto.
Si riavvicina allo specchio e comincia a darsi il rimmel sulle ciglia.
I suoi occhi le sono sempre piaciuti, il colore è nocciola, il taglio fine.
Adora i suoi occhi ma in questo momento hanno un’espressione triste, quella scena d’amore l’ha delusa. Non era questo che cercava.
Ha bisogno di trovare altri difetti quindi si riavvicina al cannocchiale e ricomincia a guardare, lancia quei suoi occhi nocciola, i suoi bellissimi occhi nocciola a indagare nuovamente.
Torna alla finestra della coppia, lei è ancora in bagno. La porta d’ingresso si apre e sull’uscio ricompare la figura dell’uomo, ma questa volta non è solo, c’è una bambina con lui, si tengono per mano, entrano e chiudono la porta alle loro spalle.
Elanor sente una rabbia crescerle dentro, un po’ se ne vergogna, ma c’è, è li e non riesce a ignorarla.
Cercava difetti e invece ha trovato altro amore, altra perfezione.
Ora si sente stupida e sola, prova anche un po’ di disprezzo verso se stessa per via di quell’invidia che non riesce a controllare.
Pensa tutto questo Elanor, ma non smette di guardare nel cannocchiale, non riesce a staccarsi.
L’uomo e la bambina si spostano in salotto e accendono la luce.
Gli occhi di Elanor si spalancano e la bocca si contorce in una smorfia che diventa poi un sorriso, un ghigno.
Non è lo stesso uomo di prima, non è lo stesso uomo.
Lei ha l’amante, tradisce il marito e la figlia con un altro uomo.
C’è un tarlo, nella cornice di quel quadretto familiare apparentemente perfetto..
Ecco il difetto che cercava.
Elanor è al settimo cielo, si siede sulla sedia girevole e si lascia andare alla gioia, braccia e gambe spalancate, la testa buttata all’indietro.
Quella che sente è felicità, crudele, ma pur sempre felicità.

Torna allo specchio e si mette il rossetto, lo applica sul labbro superiore, poi su quello inferiore, in fine preme le labbra una contro l’altra come da bambina vedeva fare a sua madre.
Ha labbra fini e delicate che si sposano perfettamente con il suo corpo magro. Si piace.
Il CD è terminato e Elanor lo fa ripartire dall’inizio, ha deciso che quella sarà la colonna sonora della serata.

Torna a guardare nel cannocchiale, salta da una finestra all’altra.
Al sesto piano c’è una ragazza che conosce, hanno fatto il liceo assieme. Non ha bisogno di cercarlo per trovare il suo difetto. Adelaide è strabica in maniera vistosa e porta spesso gli occhiali da sole per nasconderlo.
Nel piazzale, tra le macchine, nota la figura di un uomo che cammina, è zoppo, attraversa lo spazio con l’andamento incerto di una cartaccia spostata dal vento.

Elanor si sente sempre più vicina alla perfezione.
Torna davanti allo specchio e si guarda le gambe e le braccia, la pelle è liscia e perfettamente depilata, le mani hanno dita sottili e i piedi sono piccoli e curati, le unghie, tutte, sono smaltate di rosa. Lo stesso rosa del rossetto, lo stesso rosa del reggiseno.
Si accarezza le gambe per tutta la lunghezza. La ceretta è perfetta, non un pelo.
Da una scatola, appoggiata sopra al letto prende un paio di calze, bianche, autoreggenti. Le raccoglie muovendo le dita dall’apertura fino alla punta, ci infila il piede e le srotola stendendole per tutta la gamba, l’autoreggente le arriva a mezza coscia, l’elastico preme la carne ma la pelle non fa rigonfiamenti eccessivi, ha gambe magre e toniche. Ripete l’operazione anche con l’altro piede.
Le stanno proprio bene.
Prova qualche posa allo specchio, si gira e si guarda da dietro.
Niente che non va, è bellissima e sexy.

Sicura di sè torna alla finestra, torna a guardare dentro il cannocchiale, ricomincia a rovistare nelle vite degli altri, a frugare tra le loro immondizie alla ricerca di imperfezioni.

Ci sono visi che sono come incidenti, non che portano segni d’incidenti, ma che sono incidenti.
Il viso del signore dell’ottavo piano è uno di quelli.
La bocca è grande, il naso lungo e triste, gli occhi distanti e le orecchie piccole. Quel viso da solo basterebbe a sollevarle il morale per un mese intero. Vorrebbe fargli una foto per poi ingrandirla e appenderla in camera come fosse un poster, la guarderebbe ogni mattina e si sentirebbe bella e fortunata.
Si sente un po’ cattiva a pensare queste cose, ma bisogna essere onesti, quel tipo è proprio brutto.

Elanor guarda l’orologio e si accorge che sono quasi le undici, presto i suoi genitori torneranno a casa e dovrà tornare anche suo fratello Ronald, quindi potrà usufruire dello specchio e del cannocchiale ancora per poco tempo.
Bellissime gambe lunghe e mani curate.
Il trucco, non esagerato, si nota appena, ma le sottolinea il taglio di labbra e occhi.
Si sente bella e donna.
Se ci fosse un uomo, adesso nel suo letto, lo farebbe impazzire.
Sarebbe perfetta se non fosse per quei capelli che hanno bisogno di una sistemata.
Sarebbe perfetta se non fosse per quel rigonfiamento che si vede sotto il tessuto delle mutandine rosa, se non fosse per quel pezzo di carne che ha tra le gambe che le ricorda in ogni istante che il suo nome è Ronald,
ed è indiscutibilmente,
inconfutabilmente
uomo.
Uomo, e non serve un cannocchiale per accorgersene.
Da piccolo suo padre lo portava spesso al fiume a pescare, gli piacevano le stelle e per il suo ottavo compleanno sua madre gli ha regalato un cannocchiale.
Una sera, mentre guardava il cielo stellato, ha avuto la visione di un mondo vestito in abito da sera con addosso una giacca di paillette nera.

Ormai è tardi, stanno per tornare i suoi genitori, presto sentirà l’auto di suo padre attraversare il vialetto ed entrare in garage.
Spegne la musica e comincia a sfilarsi le calze.
Poi si toglie reggiseno, mutande e si strucca con delle salviette.
Rimette tutto a posto. Rimmel, rossetto, fondo tinta e smalto.
Tutto dentro una scatola e ben nascosto dentro l’armadio.
Si riveste e si guarda allo specchio, uno specchio che adesso le è nemico.
Ora, tolto il trucco, le calze e le mutandine rosa, Elanor è ritornata a essere Ronald.
Ha indossato il suo costume da uomo.
Il suo travestimento da essere umano.
In testa le gira solo una frase, la ripete tra sé e sé nel tentativo di provare un po’ di sollievo:
Il mondo è un tripudio di errori
e forse
la meraviglia è nelle imperfezioni.