Oliver e l’uomo di pezza

Londra, 10 anni fa. È notte, Oliver è seduto nel suo ristorante. La serata è andata bene, la cucina è in ordine e le sedie sono sopra i tavoli. I ragazzi se ne sono andati a dormire, anche stasera hanno fatto un ottimo lavoro. Oliver festeggia l’ottimo incasso, concedendosi un bel calice di vino italiano. Corpo, struttura e persistenza. Marasche, legno e cuoio. Odorava e gustava il vino, ma non osservava il colore, i suoi occhi erano impegnati, guardavano lontano, fuori dalle vetrate del suo ristorante.
Sarebbe dovuto essere soddisfatto. Non lo era. Mancava qualcosa, si sentiva incompleto.

Come al solito una leggera quanto perpetua pioggerellina offusca la vista, i contorni della città sono sfocati. Le luci dei lampioni sembrano delle vecchie lanterne a gas dalla fiammella debole e traballante.
Dall’altra parte della strada, alla fermata dell’autobus, c’è un uomo vestito di stracci accucciato sotto la tettoia. Era talmente rannicchiato che sembrava volesse sparire. Faceva compassione.

D’un tratto urla e canti, gole sotto sforzo infrangono il silenzio. I soliti ignoti, o meglio, i soliti idioti, che tornano dalla partita strafatti. Stanno passando davanti all’uomo di pezza. Uno di loro, l’ultimo, un omino piccolo con i dentoni all’infuori, che indossa dei pantaloni così grandi che sembrano presi in prestito da un gigante lo nota. Comincia ad insultarlo. L’uomo di pezza si rannicchia ancora di più, cerca di scomparire, ma non riesce. Non può.
Arrivano anche gli altri, aumentano gli insulti, parte il primo schiaffo e in un attimo sono tutti li che lo picchiano. Pugni, calci, ma lui sembra inanimato, non reagisce. Lui è di pezza.

Oliver è furioso, prende la mazza da baseball, esce di corsa urlando e agitando la mazza come un guerriero delle Higlands Scozzesi. Ne colpisce uno dietro la schiena, gli toglie il fiato, lo piega in due. Gli altri se ne accorgono, hanno un attimo di esitazione ma poi la paura ha il sopravvento e scappano portandosi dietro l’uomo grosso.

L’uomo di pezza è ancora a terra, non si muove, le mani sono esangui, stringono forte un cappuccio che gli copre tutta la faccia. Lo aiuta ad alzarsi, e lo porta nel suo ristorante. Al sicuro.

Lo fa sedere, e gli porge il vino che stava bevendo prima. L’uomo fa di sì con la testa, si toglie il cappuccio e scopre il suo viso. Non è un uomo, è solo un ragazzino che ha gli occhi più tristi che gli sia mai capitato di vedere. Ci cade dentro per una frazione di secondo, quando riemerge è passata un’eternità e in quel momento capisce che la sua vita non sarà più la stessa. Finalmente si sente completo, ha capito cosa mancava nella sua vita. L’ultimo tassello è al suo posto.
Aiutare gli altri a recuperare la dignità e la gioia di vivere sarà il suo completamento.