Ballando sotto i treni

Da circa 12 anni il progetto Termini Underground coinvolge centinaia di ragazzi in classi di danza gratuite. Tanti gli spettacoli realizzati e gli obiettivi raggiunti, dimostrando che fare prevenzione significa offrire delle opportunità.

di Cristina Lonigro

 

C’è una saletta sotto il binario 24 della stazione Termini di Roma dove le parole accoglienza e fiducia hanno assunto un significato pieno e reale. In quello che un tempo era lo spazio del dopo lavoro ferroviario, oggi giovani italiani e stranieri, spesso provenienti da situazioni di marginalità sociale, si ritrovano per condividere la passione per la danza e supportarsi a vicenda nei momenti di difficoltà. Per molti di loro, il progetto Termini Underground dell’Associazione Ali Onlus è diventato sinonimo di famiglia, perché in quel teatrino sotto i treni c’è sempre qualcuno pronto ad ascoltare e tendere una mano. Attualmente, sono circa 500 i ragazzi tra i 14 e i 30 anni coinvolti in workshop e classi di danza, sotto la guida vigile di Angela Cocozza, coreografa, ballerina e ideatrice dall’esperimento di inclusione sociale e prevenzione.

Termini UndergroundSono trascorsi 12 anni dalla nascita del primo workshop di danza nella stazione di Roma. Come è nato il progetto?

L’origine di Termini Underground è legata alla mia vita personale; il progetto infatti è nato dal bisogno di aiutare la figlia di una mia amica a cui ero molto legata. Durante l’adolescenza si era un po’ persa e una sera la vidi alla stazione Termini con un gruppo di ragazzi. È scattata così una molla umana che mi ha spinto ad aiutarla e lo stesso sentimento si è poi esteso agli altri ragazzi. In quel periodo lavoravo già utilizzando la danza in contesti sociali e grazie all’incontro con una compagnia inglese composta da ex detenuti è nata l’idea di fare qualcosa di simile alla Stazione Termini, creando un luogo di accoglienza dove chiunque poteva partecipare a un workshop di ballo.

Come si è sviluppato il progetto nel corso del tempo?

L’idea del luogo aperto in cui tutti potessero venire è rimasta la stessa. Noi non chiediamo ai ragazzi che arrivano come si chiamano e che storia hanno, in modo tale da riuscire ad avvicinare anche i più restii. Inizialmente, ad accoglierli sono ragazzi che partecipano al progetto da anni e con loro iniziano ad allenarsi quando vogliono e senza costrizioni. Solo quando la frequenza diventa più assidua, in base alle reazioni di ognuno, noi educatori li avviciniamo e se sono disposti ad assumere un impegno maggiore, li coinvolgiamo in classi più strutturate con cui lavoriamo in modo serio nella realizzazione degli spettacoli.

Tanti ragazzi che partecipano al progetto sono stranieri e vivono la condizione di rifugiati politici, apolidi o immigrati di seconda generazione. Come è vissuto il multiculturalismo all’interno del gruppo?

La diversità di origini è vissuta in maniera del tutto naturale. Non ci sono mai state difficoltà in questo senso. La bellezza dei gruppi che si formano all’interno della sala da ballo è che c’è un incontro tra mondi diversi: ci sono italiani e stranieri, ragazzi con un’infanzia difficile alle spalle e altri che provengono da famiglie normali. Incontrarsi è stimolante per ognuno di loro, si influenzano positivamente a vicenda e negli anni ho visto nascere amicizie molto belle.

Quanto ha inciso nella tua vita il progetto Termini Underground?

Direi che la mia vita è stata completamente stravolta! Tutto ruota intorno al progetto e passo le notti a pensare a quello che mi hanno detto i ragazzi e a quello che devo fare. Ad oggi è ancora presto per fare una valutazione piena dell’esperimento, ma negli anni ho visto tanti ragazzi trasformarsi e alcuni sono diventati ballerini professionisti. Mi piace pensare a Termini Underground come a un cantiere umano, una sorta di opera di vaccinazione contro la marginalità e la criminalità, in grado di mostrare che una vita diversa, fatta di impegni positivi, non solo è possibile ma anche soddisfacente.

Come è nato il rapporto con San Patrignano?

Nel 2011 siamo stati invitati dal team della comunità a partecipare ai Wefree Days e da allora non abbiamo mai mancato un’edizione. E’ stato un incontro bellissimo, sia io che i ragazzi che avevo portato con me eravamo tramortiti dall’emozione. Da allora i Wefree Days sono diventati un appuntamento fisso e tanti dei miei ragazzi non vedono l’ora di tornarci.