Un vuoto incolmabile

Avevo sempre un uomo al mio fianco. Forse era per la paura di rimanere sola e, soprattutto, per sostituire la figura del mio papà, che se ne andò di casa quando avevo solo tre anni

Quando mio padre se ne andò ero ancora troppo piccola per capire cosa stesse accadendo. Non l’ho più visto per 18 anni. In tutto quel tempo la mia vita è stata molto movimentata, tra famiglie affidatarie, case famiglia, la strada e i periodi in cui stavo con mamma che nel frattempo si era risposata. Oggi me ne rendo conto. Mi è sempre mancato tanto quel papà, quella persona che prendesse una posizione, che mi venisse a prendere a scuola o che mi insegnasse ad andare in bicicletta. Tutto quello che non ho mai avuto l’ho ricercato presto, quando a tredici anni ho iniziato a buttarmi tra le braccia di chi pensavo potesse proteggermi. All’inizio fu così. Trovai un ragazzo bravissimo, forse anche troppo. Ero io quella ‘sbagliata’. Mi drogavo, spacciavo e andavo alle feste. Rimasi con lui per quattro anni, trascinando giorno dopo giorno una relazione destinata a spegnersi. Non lo volevo ammettere, ma dentro di me sapevo che prima a poi sarebbe dovuta finire: eravamo troppo diversi, troppo distanti. Scelsi di andare avanti senza di lui. Fu un errore. Iniziò il mio declino, quello vero: la strada, lo spaccio, una vita di espedienti. E gli uomini sbagliati. È iniziato tutto molto velocemente. Le canne e l’alcol e poi le sostanze chimiche, fino ad arrivare alla cocaina. Per lei ho venduto l’anima e ho perso tutto ciò che avevo: la dignità, il lavoro, la famiglia, gli amici. Ero diventata stronza, cupa e fredda; era solo una “forma di protezione”, perché dopo tanto dolore e frustrazione non avevo più voglia di       soffrire. Ero arrivata al punto di non riconoscere più  il buono dal marcio, il bianco dal nero. L’amore dall’odio. In fondo ero ancora una bambina con l’anima morta da tempo. L’effetto della droga mi regalava quel calore che mi faceva stare bene, quell’affetto che mi mancava e l’illusione di farcela alla grande in un mondo in cui tutti i problemi svaniscono e i brutti pensieri si annullano. L’unico mio obiettivo era quella sostanza bianca, quel biglietto di sola andata verso il nulla, dove potevo lasciarmi cadere nel vuoto. Provare quella sensazione eccitante che ti fa sentire importante e accettato, fino a quando non finisce l’effetto. Perché poi ricadi nel buco nero e tutto ricomincia da capo. Ho cercato molte volte di smettere, ma ogni volta la situazione peggiorava. Dopo varie overdose, ricoveri e percorsi in comunità, mia madre decise di mandarmi a Santo Domingo. Da mio padre. È stato in quell’occasione che l’ho conosciuto. Quella per lei era l’ultima spiaggia, per farmi smettere. Non è stato così. È bastato poco tempo e la situazione è degenerata, sono finita di nuovo nel mio stile di vita, sporco e tossico. Ormai non provavo più niente. Dopo sei mesi tornai a casa da mia madre e lei mi accolse per l’ennesima volta. Ma durò poco. Mi ributtai in mezzo alle vecchie conoscenze e incontrai lui. Sapevo che era un ragazzo pericoloso. Era appena uscito dal carcere, un criminale e violento. Insomma, la classica persona da non frequentare ma che in strada era rispettata da tutti. E a me piaceva. Con il suo fascino da tossico e le sue belle parole è riuscito a farmi perdere la testa per lui. Un sogno che presto si è rivelato un incubo. La mia fragilità era il suo punto forte Con la violenza psicologica e fisica è riuscito a distruggermi in poco tempo. Nonostante piangessi, soffrissi e portassi i segni di questo malessere, non riuscivo in alcun modo ad allontanarmi da lui. Era un amore malato, tossico ma per me indispensabile. Ed era più forte di me. Finché un giorno quell’amore non ha superato ogni limite. Dopo otto ore passate in ospedale ho finalmente capito e sono riuscita a prendere le distanze. Nonostante le minacce e i suoi insulti ho resistito quei pochi mesi, finché non sono entrata a San Patrignano. Qui sto imparando finalmente ad affrontare quel vuoto che provo dentro, lasciato in parte da mio papà, in parte… non lo so ancora, ma col tempo riuscirò a capirlo. Nel frattempo sto riprendendo pian piano il rapporto con lui attraverso le telefonate ed è un passo che mi sta facendo crescere tantissimo, anche se non è facile. Ogni giorno mi sento un po’ più libera, sto cercando di concentrarmi su ciò che devo risolvere dentro di me. Perché è lì che sta il vuoto, solo lì. E non voglio più essere schiava dei miei vuoti, ma godermi tranquillamente tutte le mie emozioni.

Articolo di Sheila tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N° 52 gennaio 2021
Per scoprire come riceverlo: https://www.sanpatrignano.org/sostienici/sanpanews-voci-crescere