Il mondo in una stanza

Quando uscire e stare con gli altri è un’impresa insostenibile, fonte di stress e traumi. Si chiama “ritiro sociale” e colpisce molti adolescenti, gettando nello sconcerto le famiglie e trovando spesso impreparati i docenti

Adolescenti che non escono di casa” è il titolo del saggio edito da Il Mulino in cui si approfondisce il tema del ritiro sociale dei bambini e degli adolescenti. Lo sguardo è attento soprattutto alle ripercussioni negative di tale fenomeno sul benessere psicologico di questi ragazzi, essendo gli autori Stefano Vicari, professore di Neuropsichiatria infantile presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore dell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, e Maria Pontillo, psicologa della stessa Unità del Bambino Gesù. Il libro è un viaggio nel mondo di quei bambini e adolescenti che si “rifiutano di uscire di casa, di incontrare i coetanei e di avere rapporti sociali”, che esprimono “in senso unidimensionale il rifiuto aspecifico alle relazioni”. Raccontandone le storie, gli autori espongono le diverse modalità in cui si esprime il “ritiro sociale” ma forniscono anche consigli utili a genitori e insegnanti, per intervenire in modo tempestivo in queste situazioni e per garantire a questi ragazzi un livello di benessere adeguato alla loro età. Dal 2015, Robert Coplan, Gabriella Nocita e Laura Ooi della “A Carleton University hanno affermato, con il loro studio “When One Is Company and Two Is a Crowd: Why Some Children Prefer Solitude”, che il ritiro sociale è un concetto generale entro il quale rientrano tutti i comportamenti e le emozioni che spingono questi ragazzi a evitare le relazioni sociali. A differenza dell’isolamento attivo, cioè quello che si verifica quando si viene isolati dai propri coetanei, in questo caso l’atto volontario del bambino o dell’adolescente si manifesta soprattutto attraverso l’ansia: partecipare a una festa o andare a scuola comporta un grande stress emotivo. Ma questi ragazzi, restii ad ammettere le loro preoccupazioni, attribuiscono spesso la causa del loro malessere a motivi di salute, come cefalee, dolori addominali e muscolari. Le manifestazioni cambiano a seconda dell’età. I bambini, per esempio, possono diventare violenti nei confronti dei loro genitori in situazioni che prevedono la separazione, come prima di entrare a scuola. Gli adolescenti, invece, tendono semplicemente ad evitare le situazioni sociali e, nelle forme più gravi, a chiudersi in casa, ad avere contatti diretti solo con i proprio famigliari e a comunicare con il mondo esterno attraverso internet. Non mancano anche altri effetti, come modifiche dell’umore o dei comportamenti. In Italia, sostengono gli autori del libro, sono circa 120.000 i soggetti che manifestano il ritiro sociale, con una prevalenza di maschi. L’età in cui emergono i primi segnali, secondo diversi studi, è intorno ai 15 anni e ha una durata media di tre anni. La recente pandemia, però, ha fatto emergere nuovi numeri. Secondo l’Osservatorio nazionale adolescenza, nell’ottobre 2021, il 25 % dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni ha vissuto momenti di tristezza e apatia e il 20% preoccupazioni, ansia e tendenza a isolarsi dai coetanei. L’osservatorio dell’Unità operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù nel settembre del 2021 ha registrato un aumento record, rispetto al 2017 e al 2019, delle richieste di aiuto legate a situazioni di ansia e ritiro sociale. Da questi dati emerge come tali fragilità fossero già presenti anche prima del Covid 19 e come l’isolamento forzato e la didattica a distanza abbiano contribuito a esacerbare le paure tra gli adolescenti. Quando il problema non è temporaneo ma continua nel tempo si precipita in quello che gli autori definiscono come un vero e proprio “disturbo psicopatologico sottostante: ansia, depressione, psicosi. In altre parole, il ritiro sociale è a tutti gli effetti un epifenomeno o meglio un sintomo da contestualizzare all’interno di un quadro di sofferenza psicologica più ampia”. La storia di Claudia, 6 anni, che manifesta i sintomi dell’ansia quando deve separarsi dai genitori per andare a scuola, o quella di Federica, 16 anni, che dallo scoppio della pandemia soffre di depressione e non ha più piacere nel praticare attività che prevedono le relazioni con gli altri, rivelano, appunto, come queste manifestazioni siano solo la punta dell’icerberg di una problematica più ampia. Secondo diversi studi, il ritiro sociale nasce da fattori genetici e neurobiologici, oltre che temperamentali, sociali e ambientali. I ragazzi che crescono in contesti familiari in cui si intrattengono pochi contatti e si ha timore del giudizio degli altri hanno una probabilità sei volte maggiore di sviluppare quest’affezione rispetto ai coetanei che vivono in contesti familiari diversi. Secondo Kenneth Rubin della Pennsylvania State University, la timidezza è un altro fattore di rischio. Molti ragazzi con questo temperamento si ritrovano protagonisti di un conflitto tra il desiderio di essere accettati sul piano sociale e la tendenza a isolarsi per non essere sottoposti al giudizio altrui. Altri rischi sono “eventi di vita stressanti”, come gli episodi di bullismo o cyberbullismo, e vivere in una famiglia malsana. Ma che ruolo rivestono i social media? Con internet i ragazzi con tendenze al ritiro sociale si sentono protetti dallo schermo, dietro il quale sono in grado di stabilire relazioni che, al contrario, non saprebbero sostenere nel mondo reale. Negli anni sono stati messi a punto diversi modi per combattere il fenomeno del ritiro sociale, come la psicoterapia cognitivo-comportamentale, il social skills training e, nelle forme più gravi, il neuropsichiatra infantile. Tra gli altri, il progetto Mèta, a cui collaborano psicologi e psicoterapeuti dell’Istituto di neuropsichiatria ricerca e terapia in età evolutiva Rete di Roma, fornisce sostegno ai ragazzi. L’obiettivo del progetto è quello di far incontrare adolescenti per “favorire opportunità di uscita, d’incontro e coinvolgimento emotivo.

Tratto da “Sanpanews-Voci per crescere” N°69-giugno-2022