Tè alla pesca

È una storia di occhi questa: di sguardi, di tanti sorrisi, poche parole e un po’ di lacrime.

Ricordo il primo bacio e l’ultimo tra di noi.

Non li dimenticherò mai, ne sono certo.

Erano parentesi di luce in una storia di buio; punto e a capo. Io l’avevo vista per la prima volta sull’autobus ed è stato qualcosa di esagerato. Il cuore non ha smesso di battere, non si è fermato. Nooo! Ha iniziato a battere al contrario, indentro. Un casino! Mi sembrava potesse esplodere da un momento all’altro. Di gioia e di paura. Non ci capivo più niente. Quindi stavo là, bagnato fradicio perché pioveva di brutto e non avevo l’ombrello, a perdermi in quegli occhi, quei due occhi profondi come le radici del deserto. Mi guardavano quegli occhi e dentro ci vedevo l’orizzonte, non finivano più, come quando metti due specchi uno di fronte all’altro. E intanto io ero là, fradicio, con il cuore che batteva al contrario perso nel deserto, l’autobus e tutto il resto. Lei è scesa dieci fermate prima di casa mia, ma mi sarei fatto tutta Bologna a piedi sotto una pioggia di vetro pur di rivedere quegli occhi di sabbia.

Ci siamo conosciuti alle tre di pomeriggio a Porta Saragozza. Il cuore mi batteva forte, così forte che non mi lasciava respirare o pensare, riuscivo solo a camminare.

Di lei conoscevo solo il nome e che le piaceva il tè alla pesca. È stato grazie alla promessa di offrirgliene uno che

l’ho convinta ad uscire con me. E lei per me era “Pesca”. Quindi alle tre lei era là, per me. Per lei io avevo solo un sorriso venuto male e la promessa di un tè alla pesca. “Ciao Pesca.”

Abbiamo parlato per tre ore intere e alle sei i nostri occhi si sono baciati. Sembra una poesia venuta male, due occhi che si baciano. Però, alla fine, se due si piacciono non è che si devono per forza baciare con le labbra.

Quello viene dopo. Prima ci sono gli sguardi, occhi che tremano, che si dicono tutto. Quello che viene dopo, è venuto e basta ed è stato magico. Mi ricordo l’ombra di una primavera troppo attesa e l’erba tra i capelli. Gli occhi erano lì, felici, e non servivano più. Si sono chiusi nel bacio più leggero di sempre, quasi non si toccavano le labbra, come il sole che sposta le nuvole e il vento che le accarezza. Ricordo l’ultimo, dato a malincuore e sembrava la scena di un film, un vecchio film già visto, ma mai capito.

Guardavo i suoi occhi infiniti piangere dentro ai miei che ricambiavano lacrime fitte come la pioggia di quel giorno sull’autobus. Erano lacrime innamorate quelle, ma occhi innamorati non si salutano mai piangendo; le ho chiesto di girarsi e di smettere di piangere, io avrei fatto lo stesso. Volevo un sorrisone da lei come ultimo ricordo e lei me l’ha dato quell’ultimo sorriso, quell’ultimo bacio e un ultimo sguardo tra le dune del deserto. Il giorno dopo sono andato via, sono entrato a San Patrignano. Lei non l’ho più vista, mi rimane solo il ricordo di un deserto di lacrime. Un ricordo troppo breve per piangere ancora, ma troppo bello per essere dimenticato.

Quegli occhi non li scorderò mai.

Ciao Pesca.

 

Tratto da “Sanpanews –Voci per crescere” N°4  gennaio 2017