I grandi non piangono mai

Accendo la macchina. Tiro il freno a mano, scendo e aiuto mia madre a caricare le borse della spesa, lei tiene il bimbo. È mio fratello ma lui mi chiama ‘Zio’. Ha tre anni. Saliamo in macchina, faccio per partire quando lui mi accarezza il braccio e mi dice: “Come sei forte Zio”

Spesso mi dimentico di essere già grande. Ho trent’anni eppure a volte non mi sembra vero di essere arrivato a qui. Non penso di essere un adolescente, sia chiaro. È che semplicemente, vivendo, allontano dalla mente il tempo passato. Quello che ho fatto, quanto ho sofferto. E di come tutto questo abbia cambiato il mio modo di ragionare: ponderato, calcolato e a volte poco spontaneo.

Il tempo passa, tra le lezioni di vita e i risultati che riesci a raggiungere. Guardo gli occhi di mio fratello e ricordo bene cosa provavo alla sua età. Vedevo i “grandi”, forti e sicuri di loro, che stavano tutto il giorno a fare qualcosa. Mamma puliva sempre la casa, poi lavorava, mi controllava. Papà era sempre al lavoro, dalla mattina alla sera. Mi sembravano invincibili e allo stesso tempo mi spaventavano. Quando ero piccolo avevo una gran paura di lavorare, di smettere di giocare e di avere delle responsabilità. Avevo paura di essere grande.

Ma il tempo passa, corre veloce tra i nostri impegni e le nostre promesse. E non è sempre detto che uno debba crescere, passare attraverso quelle “tappe obbligate”. Pensavo che i grandi avessero sempre le risposte in tasca, che quando discutevano avessero sempre ragione. Quando mio padre se n’è andato di casa ho pianto, non capivo. Non conoscevo il peso del tradimento, non sapevo quanto potesse far male a un uomo, anche se adulto. Avrei potuto giudicarlo. Di certo non potevo capirlo. Forse non posso nemmeno oggi, non completamente. Quando ho visto mia mamma piangere, non sapevo cosa volesse dire la parola “depressione”. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lei.

Anche se non vorresti il tempo passa, vola leggero tra le parole non dette e le cose che ingenuamente credi di aver capito. Io avevo smesso di parlare con i grandi, ho cercato risposte facili dove più mi faceva comodo riceverle in fretta. Ho fatto tanti sbagli e ho sofferto come un cane, prima di fermarmi. Non avevo la risposta giusta ma non riuscivo a chiedere una mano, avendo la convinzione che il modo di vivere degli altri non andasse bene per me. Diverso, sbagliato. “Rotto”. Questo ero io: un ragazzo nato male. Ero arrivato a un passo dal perdere ogni cosa, avevo quasi deciso. Alla fine ho chiuso gli occhi, ho scelto di ascoltare. Per capire come guarire quella diffidenza, quella rabbia, e come potevo diventare grande.

A volte non ci credi più, ma quando il tempo passa in mezzo alle cose, in qualche modo chiude quelle ferite, scrivendo poesie sulla tua pelle. A volte sono cicatrici, a volte sono rughe, sguardi o modi di vedere il mondo. Ti leviga e ti modella in base alle tue scelte e alla gente che incontri. San Patrignano è stato tempo speso bene, un luogo e un’esperienza fondamentale, che ha plasmato i miei sogni, dandomi i mezzi per costruire un adulto che abbia il suo posto nel mondo. Eccomi oggi, per la prima volta “in verifica” a casa, dopo tre anni e mezzo. Ho fatto progetti, ho lavorato su me stesso. Mi sono impegnato molto per costruire questa versione coerente di me. Eppure è bastato andare a casa, far accarezzare queste cicatrici dalla mano di un bambino, mio fratello. Per ricordarmi cosa c’è dietro la mia corazza.

Il tempo non passa per portare via delle cose di te, ma per portarne di nuove. Talvolta qualcuna di queste le lasci andar via, per orgoglio o superficialità, altre volte prendi dei pezzi dal mondo e costruisci quel te stesso adulto che può permetterti di vivere. Non è facile prendere i pezzi giusti, per questo ho imparato a parlare, chiedere, ascoltare gli altri e il mio cuore. Ma più guardo i tuoi occhi, fratello mio, più mi rendo conto che quel bambino dentro di me è ancora lì sotto. Oggi so guidare, pagare le bollette, ho preso il diploma. Ho delle braccia forti come quelle del mio papà, un modo di parlare sicuro, come la mamma. Però non so tutto del mondo. Ho ancora paura, tante insicurezze. Capita anche a me di pensare, la sera, quando sono nel letto e mi sento solo. Mi manca sentirmi protetto da mamma e papà, mi manca giocare con fratelli e cugini. Non so se capiresti una cosa del genere. Di solito, se non riesci a spiegare una cosa a un bambino, significa che in fondo non l’hai capita bene nemmeno tu. Ti guardo e sorrido, pensando a cosa mi ha fatto venire in mente una tua carezza. Voglio essere grande per te, per le persone che mi vogliono bene e che si aspettano qualcosa da me. Perché anche io mi aspetto tanto da questa nuova vita. Non dimenticherò più chi sono, questa volta no. È sbagliato credersi invincibili. Non siamo nient’altro che bambini passati in mezzo al tempo. Ci sarò per te, fratello mio, oggi mi sento pronto a vivere. Ma ricordati sempre: non è vero che i grandi non piangono mai.

Fred Tosse
Tratto da “Sanpanews – Voci per crescere” N°65 Febbraio 2022
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