Il judo per ricominciare

In una palestra all’ombra delle vele di Scampia, il maestro di judo Gianni Maddaloni ha creato un “clan della legalità” dove, attraverso lo sport avvia un percorso di recupero tra ragazzi in prova ai servizi sociali e detenuti a fine pena

Testo di Cristina Lonigro

«Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, ispira e unisce le persone come poche altre cose riescono a fare. Parla ai giovani in una lingua che essi comprendono. Lo sport può creare speranza là dove prima c’era solo disperazione. Ha più potere dei governi nel rompere le barriere razziali. Irride ogni tipo di discriminazione».

È il 25 maggio del 2000 e Nelson Mandela in occasione della cerimonia inaugurale dei Laureus World Sports Awards parla del valore dello sport come motore di cambiamento nella vita dei singoli e nelle società. Parole che trovano piena attuazione nell’esperienza del maestro di judo Gianni Maddaloni, da oltre un decennio impegnato, con la sua palestra sotto le vele di Scampia, nel recupero di minori con condanne penali e detenuti in prova a fine pena. Per Maddaloni, il judo raccoglie tutte le chiavi necessarie per aprire la mente e i cuori dei ragazzi accolti in palestra, dopo l’affido da parte di servizi sociali e Tribunale dei minori. Attraverso la pratica e la condivisione dello spazio della palestra, di cui tutti sono responsabili, Maddaloni insegna prima di tutto il rispetto verso la vita e il prossimo. Per tanti ragazzi cresciuti tra le strade dei rioni popolari e arrivati a delinquere spesso per mancanza di opportunità e di buoni esempi da seguire, si tratta di una scoperta assoluta: nella palestra di Maddaloni comprendono che un’altra strada è possibile e con onestà e impegno possono costruire una vita ispirata a valori di giustizia e solidarietà. Cresciuto in un rione povero e costretto a lavorare dalla giovane età di 16 anni per sostenere la famiglia dopo la morte del padre, il maestro Maddaloni conosce bene l’ambiente da cui arrivano i ragazzi che accoglie. Negli anni ha visto molti dei suoi amici di infanzia entrare in carcere o morire tra le maglie della criminalità. A salvarlo durante la sua adolescenza, strappandolo alla strada, è stato proprio lo sport e la passione per la boxe prima e in seguito per il judo, praticato sotto la guida del maestro Enrico Bubani, diventato per Maddaloni un modello di vita e ispirazione per il futuro. Il judo non solo ha cambiato la vita del maestro ma lo ha reso capace di trasmettere la sua passione ad altri ragazzi, primo tra tutti suo figlio Pino che nel 2000 a Sidney ha vinto un oro olimpico. Ed è proprio dopo la vittoria del figlio, che Maddaloni si trova davanti a un bivio: accettare l’offerta di una palestra in un ricco quartiere a Napoli alta o realizzare il suo sogno di aiutare la sua gente e chi può ancora sperare in una vita migliore.

La scelta è fatta con il cuore e nel 2005 la palestra di judo di Scampia apre le sue porte non solo ai bambini del quartiere, indipendentemente dalla possibilità delle famiglie di far fronte alla quota mensile, ma anche a ragazzi diversamente abili bisognosi di rafforzare autostima e capacità sociali. Dal 2008 inizia inoltre il percorso accanto a servizi sociali e Tribunale per aiutare ragazzi difficili e detenuti a fine pena. Nasce così quello che il maestro ama chiamare il “percorso Maddaloni”, un cammino di recupero della dignità e assimilazioni di nuovi valori che riesce a riportare nella legalità molti dei ragazzi accolti. Con loro Maddaloni non ha parole gentili, a parlare prima di tutto è l’esempio, suo come dell’intera squadra della palestra, e lo sport, vissuto e praticato come terapia psicologica e modello per un’esistenza piena e pulita.

Tratto da “SanpaNews – voci per crescere” n° 59 – agosto 2021