Papà, mi mancavi

I miei genitori avevano deciso di prendersi una pausa, che poi si è prolungata per il resto della vita. Avevo dieci anni e per la prima volta mi sono ritrovata a casa da sola con mio padre. Era come uno sconosciuto, che timidamente cercava un approccio con me e le mie sorelle per creare con noi quel rapporto che non c’era mai stato

Ricordo un giorno. Ci aveva portate al bowling e, per quanto potesse essere divertente, non vedevo l’ora che arrivasse la mattina seguente per andare a scuola e stare lontana da lui. Mia madre era scomparsa, mi aveva salutata ed era sparita dentro ad una macchina nera. Mi sentivo abbandonata, tutti i giorni provavo la stessa sensazione di solitudine. Quella che mi ha accompagnato fino a quando sono entrata in Comunità, all’età di diciannove anni. Incolpavo mio padre per l’abbandono di mia madre poi solo qui, a Sanpa, ho capito che lui soffriva quanto me. Con lui litigavo sempre. Volevo imporre le mie regole, ero arrogante, strafottente. Arrabbiata. Era il mio modo per soffrire di meno. Ho sempre cercato di tenere tutto sotto controllo, di reggere il peso di tutti, di farmi carico dei problemi miei e degli altri. Ma come avrei mai potuto tenere in piedi quella famiglia che non esistevapiù? Ero solo una bambina che voleva fare l’adulta prendendosi il carico di cose molto più grandi di lei. Col tempo, però, sentivo seriamente il bisogno di qualcuno che mi aiutasse. A scuola mi sentivo sola, diversa, derisa dai compagni. Quando incontravo mia madre la vedevo ancora troppo fragile e debole per l’assenza di papà. Non potevo appesantirla ancora di più. Le mie sorelle, non ne parliamo. Insomma, non c’era nessuno con cui condividere il mio dolore. Mi sentivo sola. Ho cominciato a prendermela con me stessa, odiavo non riuscire a far stare meglio le altre persone della mia famiglia. E non sopportavo di vedere mio padre, accecato dal rancore per mamma, incapace di accorgersi del mio stato d’animo e di quello delle mie sorelle. Iniziavo ad avere paura. Ho cominciato a chiudermi ancora di più in me stessa e passavo le giornate in silenzio, chiusa in camera. Quando stavo con mio padre saltavo i pasti perché la tavola era il momento più lungo da passare insieme. Questo iniziava a infastidirlo parecchio, così le nostre litigate diventarono ancora più violente. Mangiando poco avevo iniziato a dimagrire molto e un giorno, mentre mi stavo cambiando, mio padre lo aveva notato e me lo aveva fatto presente. Per la prima volta ho sentito le sue attenzioni su di me. Dimagrire era diventato il mio modo per essere considerata e far capire quello che con le parole non riuscivo ad esprimere. Ma quando si entra in quel tunnel, quello dell’anoressia, riuscire a cacciare tutti i mostri che si creano nella testa è praticamente impossibile. Mi sono ritrovata molto presto davanti ad una clinica per disturbi alimentari. Mio padre all’inizio urlava e si arrabbiava con me, poi non riusciva a trattenere le lacrime. Non glielo avevo mai visto fare prima. Avevo trovato il modo per farlo soffrire, volevo che stesse male, peggio di me, così mi sono imposta di diventare quasi trasparente. Da qualche visita settimanale sono arrivata al ricovero. La situazione era andata oltre, troppo oltre. Sentivo il gusto amaro del fallimento. Uscita da lì passavo la maggior parte del tempo rinchiusa in casa, ma le cose in famiglia non erano migliorate, così ho cominciato a uscire e a buttarmi sull’alcol. Dopo qualche ricaduta con l’anoressia, che però non attirava più le attenzioni di mio padre, ero veramente stanca di stare male, ma non avevo il coraggio di risolvere i miei problemi. In quel momento è entrata a far parte della mia vita la droga che sembrava essere finalmente la soluzione per tutto. Mio padre si accorse presto di quello che stavo facendo e provò a fermarmi in tutti i modi. Niente. Io mi allontanavo, scappavo. Avevo trovato come colpirlo un’altra volta. Dopo un po’ abbiamo iniziato ad ignorarci. Eravamo esasperati, ma questo faceva stare male entrambi. Alla fine sono entrata a San Patrignano. C’è voluto molto tempo prima di riuscire a mettere da parte tutta la rabbia verso di lui. Un giorno ho detto alla mia responsabile che ero pronta. Volevo incontrarlo. Quando, dopo tanto tempo, ho rivisto quei suoi occhi azzurri, più limpidi del cielo, che nel silenzio mi fissavano e non riuscivano a smettere di piangere, ho capito che mi mancava, forse più di ogni altra cosa al mondo.

Luna
“tratto dal Sanpa News – voci per crescere” n° 45