Non sento niente

Mi parli, ma non credo di sentirti davvero. Eppure ti ascolto. Ma le tue parole sono lontane, ovattate. Anche se stai piangendo. Anche se ti sto lasciando. Anche se tutto quello che abbiamo costruito insieme si sta sgretolando di fronte a noi

A dire la verità l’hai costruito solo tu e lo sto distruggendo solo io. Era tutto sbagliato tra noi due. Ma forse c’è sempre qualche scheletro nell’armadio, nel rapporto tra due persone. Ho sbagliato a scriverti quel giorno, due anni fa. Ricordo che ero triste. Mi avevano dimesso da poco e stavo sempre a casa. Mi avevano svegliato dal coma per miracolo e dovevo riprendermi, riposarmi. Ma erano tutte giustificazioni. La verità è che mi sentivo sola. Non sapevo cosa fare, come uscire da quella situazione. Ci siamo visti perché ero annoiata, ma quando ti ho rincontrato sono rimasta a guardarti tanto. Tu eri bello, in forma, eri sicuro di te. Parlavi come se sapessi tutto, e anche se provavo a fare l’arrogante per dimostrare di essere alla tua altezza, mi piacevi. Era come se avessi la possibilità di lasciar fare a te, di non avere la completa responsabilità della mia vita. Così è andata quando mi hai baciata. Perché per me l’amore era quello. Anche se io avevo un amore più grande. Pensavo di essermene scordata. Camminavo per strada sentendomi un’altra. Perché dopo un po’ di tempo anche io sorridevo, anche io ero bella, sana come un pesce. Andavamo a fare shopping, mangiavamo in giro, ci sedevamo sulle panchine a parlare. Era un po’ come tornare negli stessi posti facendo finta di non aver mai conosciuto tossici, spacciatori, ladri e tutta la feccia che c’è in giro. Quando li incontravo insieme a te loro si congelavano, mi guardavano e non credevano che fossi proprio io. Quella che non si faceva mettere i piedi in testa. Quella che andava sempre oltre ogni limite. E stavo bene quando mi guardavano così. Mi sentivo superiore a loro, alla droga e a quella vita schifosa. Ma ormai è passato tutto. Tu stai singhiozzando dall’altra parte dello smartphone, ma io non sento niente. Non riesco a ricordare quando mi sono stancata della tua vita normale, del tuo modo di parlare. Erano discorsi che non volevo sentire. Era emersa la nostra vera natura: io ho dovuto smettere, dopo l’incidente, dopo il ricovero. Non potevo più drogarmi. Ero obbligata. Tu invece hai scelto: te ne sei andato in comunità per diversi anni. Ne sei uscito. Ora andavi in giro fiero, con le tue sicurezze, come se avessi sempre ragione. Io ti odiavo. Quando eri piccolo eri come me, eri un bastardo, una testa calda che non provava niente, che trovava sempre un modo per arrivare dove voleva. Poi sei cambiato. Anzi, sei cresciuto. Ora sembrava che fossi pronto a ricevere ogni colpo, a provare qualunque emozione. Piangevi, ridevi e non ti vergognavi. Io invece non volevo sentire niente. Così una sera sono andata a cercarmela. Avevamo litigato, tu eri in un’altra città. Io sono uscita a bere con le amiche. Un bicchiere di vino, un amaro, poi un altro ancora, per tutto il pomeriggio. E quando la sera tardi, quel ragazzo mi ha chiesto se poteva salire a casa mia, io ho capito subito. Siamo arrivati in casa, siamo andati in cucina, ci siamo guardati. L’ha tirata fuori. La coca. Sentivo finalmente quel batticuore, dopo tanto tempo. Sentivo tirare i muscoli delle mascelle dall’eccitazione. Non so se sarei riuscita a farlo, se non fossi stata ubriaca. Ma quella sera l’ho fatto, ho tirato. Dopo un’ora mi hai anche videochiamata. Lo so che mi hai beccata, ma non ce l’hai fatta. Non hai fatto niente. Ti sei arrabbiato perché ero con lui, ma poi abbiamo fatto pace. Hai fatto finta di non vedere. Tu adesso stai piangendo, stai provando a chiedermi perché sto facendo questo. E io non rispondo. Vorrei dirti: “Come faccio a stare con te? Io mi faccio!”. Ma mi risulta più facile mostrarti che non sento niente. È da due giorni che provi a farmi parlare. Te le inventi tutte, per toccare quella cosa dentro di me. Ma sono già tre mesi che mi faccio. Tu parli ma io non ti sento. E ti giuro che le ascolto tutte le cose che dici. Lo so che faccio schifo. Lo so che ti amo, e che ti devo delle spiegazioni, e sentirti piangere mi fa male. Lo so, ma non lo sento. Lo so che non posso stare bene se non sono con te. E più ti dico “mi dispiace”, o “ti prego, non piangere, non fare così”, più mi viene voglia di sparire. Ma sto per dirti addio. Perché non voglio stare bene. E ho bisogno di un motivo per sparire. Per ovattare il mio senso di colpa e questa vita che non sa di niente. Voglio dormire ancora un po’. Come quando ti svegli dopo un sabato sera, e non vuoi il sole. E posticipi tante volte la sveglia. E non vorresti svegliarti più.

J.
“tratto dal Sanpa News – voci per crescere” n° 45