Le regole

Queste (troppe) stra-maledette regole. Sono stata ‘addestrata’ da mio padre, un uomo rigido, severo e con un forte senso del dovere, a rispettarle tutte, altrimenti la punizione sarebbe stata molto dura.

Dovevo stare seduta su una poltrona ai piedi del letto per tutto il suo riposo pomeridiano, restando al buio e senza televisione (la mia passione) per due ore circa. Le regole erano semplici, ma veramente tante. Non si mettono i gomiti sul tavolo mentre si mangia, si cena alle ore 20:00: né cinque minuti prima, perché troppo presto, né cinque minuti dopo perché troppo tardi. Non si usa un tono di voce alto. Se ti devi soffiare il naso vai nell’altra stanza e se sei a tavola ti alzi. Mangi quello che c’è, altrimenti (cito testualmente) ti ci siedi di fianco. Al secondo “non lo voglio”, vai a letto senza cena. Ma soprattutto, e queste sono quelle peggiori, non devi mai e poi mai farti vedere debole perché gli altri ti possono schiacciare. Mai mostrare i tuoi sentimenti a fidanzati e amici perché potrebbero approfittarsene, devi avere sempre e comunque la tua indipendenza economica perché non dovrai mai dipendere da nessuno. Era mio padre a prendere le decisioni per me, assolutamente le migliori, mi diceva sempre, e su quelle io non potevo discutere. Dovevo fare le cose quando lo diceva lui perché lo diceva lui, ma soprattutto come lo diceva lui. Che si trattasse dell’assicurazione di un motorino o di una macchina o di scegliere la scuola, il lavoro, la casa. Tutto ciò ha scatenato in me, all’età di tredici anni, un senso di ribellione all’ennesima potenza. Ero come Dottor Jekill e Mr. Hyde: in casa rispettosa, seria e tutta d’un pezzo, ma poi una volta fuori, chiudendomi la porta alle spalle, la trasgressione prendeva il sopravvento e diventava incontrollabile. All’età di diciassette anni mi facevo di ogni cosa. Rientravo a casa a orari indecenti. Lo trovavo seduto sul divano e il mio pensiero era: “Visto grande uomo, credi di gestire la mia vita come pare a te, ma invece in mano non hai un bel niente!”. Ora sono a Sanpa. Anche qui ci sono

regole, tante. Ma le riesco ad accettare, perché ci trovo un senso. Ripensando invece a quelle che mi ha sempre imposto mio padre, non riesco ancora a trovarlo. Perché le ho sempre vissute e sentite nel profondo come una fortissima costrizione che mi impediva di capire chi ero e cosa volevo. Penso spesso che se tutto ciò non mi avesse fatto soffrire così tanto forse non sarei arrivata a farmi così male e ad autodistruggermi con l’eroina. Sapete cosa mi succede ora? Le ragazze che stanno facendo il percorso con me dicono che sono uguale a lui: fa male, ma non ci posso fare niente, sono stata addestrata così!

Claudia
“Tratto dal Sanpa News – voci per crescere” n° 43