Energia

Ti guardo mentre sei in ospedale, seminudo, sdraiato su un lettino. Ti senti come un oggetto e non ricordi niente

Di là dai vetri ci sono medici in camice bianco; parlano fra loro, tra gesti che vedi e parole che non senti. Nell’ombra vedi teste galleggiare nell’aria, illuminate dal basso. Sono le infermiere che si muovono nel buio con una torcia elettrica per controllare i termometri e guardare la tua pallida faccia malata.

Sei stanco. All’improvviso delle figure scoppiano nella tua mente in un silenzio assoluto, forse è memoria. Sono immagini timide ma maliziose, come quelle ragazzine che scoprono per la prima volta l’amore. Cerchi quindi di sedurre i tuoi ricordi mentre fuori dalle finestre il cielo grigio promette un temporale. Aspetti l’acqua piangere dal cielo. È in quel momento che quelle timide e preziose parvenze, palpitanti di significati profondi, aprono le porte agli strati più intimi della tua coscienza e finalmente vedi.

Philippe Petit il 7 luglio 1974 camminò su un cavo teso tra le Twin Towers, l’edificio più alto del mondo. Danzò sul filo per quasi un’ora e poi venne arrestato, sottoposto a un esame psichiatrico e portato in cella. Dopo aver sognato le torri per sei anni e mezzo, Philippe passò otto mesi a New York organizzando la realizzazione di quello che chiamava ‘il colpo’. Alle 7.15 Philippe Petit fece il suo primo passo sul cavo, 411 metri sopra i marciapiedi di Manhattan. L’avventura di Philippe, sulle prime pagine dei giornali, fu intitolata come ‘Il Crimine Artistico Del Secolo’. Con il suo cavo Philippe Petit allargò i confini del teatro, della musica, della poesia e del cinema, per diventare un inimitabile artista del funambolismo.

No, non sei Philippe Petit, ma la memoria ti sta tornando. Sei a casa del tuo migliore amico e guardi un documentario trovato per caso su Sky, che parla del funambolismo. È interessante, ma tu hai voglia di fare altro. Niente di nuovo. La siringa è già pronta perché, quando finisci di farti una spada, hai sempre la ‘sana’ abitudine di prepararne subito un’altra, per non buttare via il tempo. Ti sei fatto un buco di eroina prima di cena e adesso te ne fai uno di coca per tirarti un po’ su; bevi in un sorso mezza bottiglia di jack e la senti salire. L’Energia pulsa dentro di te. Hai voglia di uscire e andare con la macchina a 190 km all’ora verso il cimitero. Vicino ci abita lei, la tua ‘principessa’ della roulotte. La tua auto da 40.000 euro mangia l’asfalto mentre le casse dello stereo della macchina pompano terrorcore; pompano Energia. Mentre parcheggi davanti a quel covo di sepolcri, vermi e corpi inanimati, pensi che i soldi di tuo padre alla fine sono serviti a qualcosa. Entri nella roulotte senza bussare, e vedi accogliere generosa dentro il suo corpo, la triste insoddisfazione di un vecchio. Sai che è il suo lavoro, è un lavoro onesto e antico: lei cura la malinconia.

Ti viene da urlare e da piangere, ma non sei tu a farlo, è lei adesso che urla e piange. La senti, l’Energia ti fa battere il cuore. Non ti basta, ne vuoi ancora. Sbatti la porta della roulotte, sali in macchina e accendi il motore. L’Energia te lo chiede: Hai paura di morire? I 190 km/h sul contachilometri dell’auto parlano chiaro: no, non hai nessuna paura. Parla chiaro il tuo respiro, che mentre la capote della macchina sfida la forza di gravità rimane tranquillo. Parla chiaro il battito del tuo cuore, il suo ritmo è impassibile mentre guardi l’asfalto sfondare il parabrezza. Tu non hai nessuna paura, mentre il rumore assordante della presunta fine grida insieme a te quelle due lettere di beato sollievo: “Sì”. Lo gridi con tutto il fiato e l’energia che ti rimangono in corpo: sì alla fine di questa insulsa vita, che è solo dolore. Sì al nulla che verrà e sarà dolce e avvolgente. Sì al dispiacere che causerai alla tua famiglia, finalmente penseranno a te. Sì a tutti quelli che diranno: “Io l’ho sempre pensato che era un tipo strano”. Sì al tuo funerale di apparenza e convenzione, dove tutti indosseranno vestiti neri e le loro facce si bagneranno di lacrime consuete. Sì a chi sentirà la tua assenza e a chi non se ne accorgerà nemmeno, tanto il mondo starà bene lo stesso senza di te. Sì ai tuoi sogni infranti, non ce l’avresti mai fatta. Sì a tutta l’Energia che hai sprecato da quando hai detto no alla vita, perché è così che è andata: tu hai detto no alla vita. Adesso che sei lì steso sul lettino e ascolti la melodia della pioggia che culla i tuoi pensieri, immagini una storia diversa. Sì, è bello non ricordarsi assolutamente niente: dove non c’è passato il futuro è più libero.

Alex, tu non ricorderai di ieri sera, dell’incidente, della droga, di Philippe Petit, della ‘principessa’ della roulotte e del vecchio. Non ricorderai dell’odio, della sofferenza, della cattiveria. Non ricorderai niente di te, dei motivi che ti hanno trasformato in qualcosa di diverso da quello che eri. Tu avrai un’altra possibilità, un’altra vita. Mentre fissi i miei occhi con lo sguardo carico di una nuova Energia, posso già vedere il tuo futuro. Ma quella, Alex, quella è un’altra storia.

“Signore, stava dicendo qualcosa?”.
“Sarai una persona meravigliosa, Alex”.
“Non ricordo niente… chi è lei?”.
“Tutti mi chiamano Angelo qui all’ospedale”.
“È qui perché sta male?”.
“No, sono qui per parlare con gli ammalati”.
“È un dottore quindi?”.
“Più o meno Alex, più o meno”.

Alex