Sensazioni

Metà marzo. Sarà sicuramente una giornata come tutte le altre. Eh già! Oramai trascorro tutti i miei santissimi giorni allo stesso modo. Uguali. Sono tutti stramaledettamente uguali. Tutto ruota attorno a lei, la coca

Esco di casa per l’ora di pranzo, sono più o meno le 12.30 e c’è il sole. Vado alla fermata dell’autobus e raggiungo il mio amico. Lui è molto più grande di me, abita a cinque minuti da casa mia. Mi sta aspettando in macchina, una Smart blu. Veste una giacca di pelle e indossa gli occhiali da sole. Io invece jeans e felpa come sempre. Entro in macchina con la sigaretta in bocca. Anche lui sta fumando. Tiene la sigaretta tra le dita e una nube oscura lo specchietto retrovisore. Mi saluta: “Ciao bella mia!” Ed io: “Ciao tesò, si parte?”. Direzione San Basilio, nella piazza dello spaccio.

Wow! In questo momento lavoro, problemi, famiglia, compagna, ogni tipo di pensiero sono fuori dalla mia testa, ora ho ben altro a cui pensare. La coca, soldi in tasca e via a fumare fino alla sera. Il mio amico parcheggia, scende, mentre io rimango in macchina. Cuore a tremila, mal di pancia, nodo alla gola, sensazioni che mi attraversano il corpo dalla testa ai piedi. È l’attesa, l’ansia. Eccolo, ha fatto, è andato tutto bene.

Si parte e si va, sigarette e a casa. Sesto piano, apro la porta. C’è un odore forte di chiuso e di fumata di crack, rimasto sospeso nell’aria. Lui apre la busta. “C’è andata bene oggi, Chicca!”. Mette la coca nel cucchiaio e… inizia la giornata.

Quella sensazione non la scorderò mai: cuore in gola, ansia che ti parte dallo stomaco, pelle d’oca, la bocca si asciuga, le mani sudano, le orecchie fischiano. E poi l’adrenalina che ti fa assaporare una falsa sensazione di libertà e l’annullamento che arriva dopo. Non ci fermiamo. La giornata è interminabile. Il cellulare continua a squillare. Mi stanno cercando tutti: mia madre, la mia compagna. Arrivano le otto di sera. Dovrei essere in stazione a prendere sua figlia. Ovviamente non ci sono. Stavo lì buttata chissà dove a fumare crack fino alla nausea. Il cellulare suona di nuovo. È la mia compagna, è incazzata nera. Io sbiascico, faccio fatica a capire, riesco solo a dirle che ha ragione e… Mi attacca il telefono. Pochi minuti e arriva la telefonata di mia madre. Non rispondo, sto male non riesco, non ce la faccio, quindi lascio squillare. Dopo un’ora tra messaggi e chiamate rispondo, urlando mi chiede dove fossi finita. “Sono al Manatthan”. Dopo due minuti arriva lì. Bevo un amaro per far scendere quella sensazione di adrenalina e di ansia che mi assale. chiudo gli occhi, mando di colpo giù l’ultimo sorso di Montenegro, esco dal bar e salgo in macchina.

Non mi aveva mai messo le mani addosso. Mai. Mi arrivano due schiaffi, forti. È disperata. Soffre, tanto. Ed io? nessuna reazione. Il mio viso non traspariva emozioni. Solamente lo sguardo perso nel vuoto. “Stasera preferirei morire piuttosto che continuare a vederti ridotta così”.

Quella frase mi fa rimanere senza fiato. Io non potrei vivere senza di lei. I 20 grammi di coca che mi ero fumata svaniscono nell’aria come il fumo di una sigaretta. Sento scattare in me qualcosa, non so spiegarlo. Non potevo andare avanti cosi, non si poteva più. Ricordo ancora quella notte, la passai a pensare, piangere, riflettere su come ero arrivata fino a lì! Decisi di farmi aiutare e decisi di entrare in comunità, nella Comunità di San Patrignano.

Francesca

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo