La Destruction

Senza tregua avanzo, piede destro, piede sinistro, destro, sinistro. Sono movimenti automatici quelli che ci permettono di camminare, mica ci pensiamo. Figuri un luogo, una meta. Punto A, punto B. Incominci a camminare e il corpo fa il resto

Movimenti naturali e meccanici. Mi è sempre piaciuto passeggiare, vagabondare, girovagare, fin da piccolo.

Da bambino le camminate che facevo erano allegre e spensierate, improntate a scoprire sempre qualcosa di nuovo, a esplorare un mondo ignoto e sconosciuto. I luoghi che percorro ora, li conosco fin troppo bene e vi posso assicurare che sono tutto, tranne che bei posti.

Un sibilo di aria compressa anticipa il rumore meccanico di due porte che si aprono. Giubbotto invernale, berretto, cappuccio e sguardo basso. L’unica cosa che vedo, mentre scendo dalla metro, o come la chiamano qua S-Bahn, è una moltitudine di scarpe e pantaloni che entrano ed escono. Nella ressa per andare fuori continuo a urtare persone, non mi sposto e procedo dritto, il mio incedere è quasi militare. Le persone sembrano circondate da una specie di aurea, un misto tra vapore e condensa bianca. Sono sicuro che anche attorno a me, ci sia da tempo qualcosa di impalpabile che si agita. Appena uscito dalla stazione di Wedding vengo investito da un vento gelido e tagliente. Cazzo, fa veramente troppo freddo! La casa dove sono diretto non è vicinissima: quindici, venti minuti a piedi. Pian piano mi lascio la stazione alle spalle, il freddo si fa sempre più intenso. Non sono abituato a temperature così basse. Fa male tutto, anche respirare. L’aria gelida che mi riempie i polmoni sembra in realtà incandescente, brucia.

Anche mani e viso bruciano a contatto con il vento nordico. I muscoli di gambe e braccia incominciano a intorpidirsi e a formicolare. Sintomi di congelamento o semplicemente sto male? Alzo lo sguardo: ecco la farmacia dell’angolo. Sono a metà strada. Aspetto che esca sul display digitale la temperatura. Meno diciannove. Perfetto, qua rischio di congelare. Provo ad aumentare il passo, non so più se i dolori che provo sono per il freddo o l’astinenza, in ogni caso devo arrivare all’appartamento. Il prima possibile.

Come entro nella casa, la differenza di temperatura mi provoca un fastidioso formicolio e bruciore agli arti, che per fortuna passa in fretta, giusto il tempo che serve al corpo ad abituarsi al caldo che c’è nella casa.

Il ragazzo turco da cui compro la roba è seduto al tavolo e sorseggia del the nero. Gli compro cinque grammi e mi dirigo velocemente nella stanza degli “ospiti”. Entro. Non sono solo, la stanza è già occupata da una ragazza che sta fumando seduta sul letto. Appena mi vede si sposta verso l’esterno e con la mano indica lo spazio accanto a lei. Mi siedo, tiro fuori stagnola, accendino e comincio finalmente a fumare. Dopo un po’ di tiri, tutti i muscoli si rilassano e una sensazione di benessere mi pervade dal basso verso l’alto, come se mi stessi immergendo in una vasca piena di acqua calda, ed è come se quell’aria impalpabile che mi circonda da tempo, venisse inghiottita dai miei polmoni lasciandomi una sensazione di desiderio e colpevolezza. Mi giro e guardo la ragazza accanto a me, anche lei sta fumando. Ha un viso familiare, anzi più che familiare direi che assomiglia a qualcuno. Continuo a osservarla in silenzio, cercando di non dare troppo nell’occhio.

La risposta arriva poco dopo. Quella ragazza sembra l’unione perfetta di due attrici: Helena Bonham Carter, quando interpreta Bellatrix Lestrange in Harry Potter e Eva Green nel ruolo di Vanessa Ives in Penny Dreadful. La somiglianza è veramente impressionante.

Il mio sguardo si sposta dal volto alla maglietta che indossa. Una t-shirt nera con la stampa di un quadro. No, non è un semplice quadro è il Saturno che divora i suoi figli di Goya. Il mio quadro preferito, la rappresentazione del conflitto tra vecchiaia e gioventù e del tempo che divora tutto. Coincidenza? Alzo lo sguardo e incrocio il suo, mi sta fissando con aria interrogativa. Chissà da quanto la stavo guardando. Mi chiede se conosco il quadro, usa un inglese scolastico con un forte accento tedesco, ovviamente le rispondo di sì. Senza accorgercene andiamo avanti a parlare per un tempo imprecisato, c’è un’affinità e una sintonia mai provata, ma come tutte le cose belle anche questa è destinata a finire presto. Jamal entra nella stanza e ci fa capire in modo molto cortese che non siamo più i benvenuti. Con un cenno della testa facciamo intendere al padrone di casa di aver capito, ci rivestiamo e usciamo al gelo. Kristina, si chiama così, m’invita a casa sua dicendomi di non abitare molto distante, cinque minuti a piedi. Ovviamente accetto, fuori fa un freddo cane, è una bella ragazza e a ha dei buoni gusti, non mi sta andando proprio male.Vive da sola in un monolocale.

Appena entrati si spoglia e rimane solo con una maglietta extralarge di Emily the Strange rosa, che le arriva a metà coscia e delle calze bianche che le coprono le gambe fino alle ginocchia. Si siede delicatamente sul letto, allunga un braccio verso il comodino e prende un astuccio nero. Lo apre e tira fuori una fiala e una siringa. Una morsa allo stomaco mi blocca il respiro, faccio fatica anche a ragionare. Troppi pensieri e scenari possibili mi rimbalzano in testa, come delle falene contro una lampadina.

Non chiedermelo, per favore non chiedermelo.

Sai, da Jamal non è il caso di farsi, una volta ci ho provato e mi ha beccato. Non l’ho mai visto così incazzato era fuori di sè. Pensa che non voleva più vendermi la roba. Dice lei con aria di sufficienza.

Anche tu ti fai, no?

Ecco, e adesso?

Io, veramente… non è che non mi faccio, è che preferisco fumarla, mi piace di più. Patetico.

Vuoi provare? Guarda che è tutta un’altra cosa e poi sono brava non te ne accorgerai neanche, ho fatto anche l’infermiera per un periodo. Mi sussurra vicino all’orecchio.

Vengo pervaso dalla sensazione che ci sia ancora qualcosa di impalpabile attorno a me. La tentazione insieme alla paura di non sembrare all’altezza, mi fanno cedere.

Accetto. Passiamo tutta la giornata e la notte a farci.

Mi sveglio che è tarda mattinata, c’è un silenzio quasi inquietante nell’appartamento. Di Kristina nessuna traccia, non sto male ma ho una voglia spasmodica di farmi ancora. Guardo nella busta. Vuota. Avevamo finito tutto durante la notte. Avevamo? Non ne sono così sicuro, non mi ricordo di averne usata così tanta, sicuramente l’avrà finita lei. Vago nell’abitazione, curiosando un po’ in giro. Nessun biglietto, nessun messaggio, ma nemmeno nessuna foto sua, di qualche amico o parente, come se ieri non fosse successo niente e lei non fosse mai esistita. Deluso esco dall’appartamento e m’incammino verso la fermata del S-Bahn. Le strade sono deserte, ho gli occhi che lacrimano per colpa del vento, ora quello che mi rimane è un senso di noia profondo quasi esistenziale, doloroso e opprimente, maniche imbrattate, ferite aperte e il sanguinante armamentario della Distruzione!

Alessandro

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo