Non ti preoccupare. Sei bellissima!

Anche se ora avevamo ventitrè anni per lei era rimasto tutto immutato.

Ogni volta che si girava per rispondere a qualcuno, i suoi capelli giallo sole fendevano l’aria, forse, l’unica cosa che avevano fatto tutti quegli anni passati è stato rendere il suo ricordo ancora più forte e, la sua presenza ora, ancora più speciale.

Eravamo stati insieme per quattro anni, dai quattordici ai diciotto, per poi dividerci; non per nostra scelta: sua madre aveva trovato lavoro in un’altra città. Per noi fu una tragedia: avevamo fatto tutto insieme, anche la prima volta con la roba.

Era tornata quella sera, anzi, la mattina prima. Organizzai una cena con chi restava della vecchia combriccola, più qualche intruso accumulatosi negli anni.

Aveva una maglietta larga, a maniche lunghe, color verde pino, che cascava come un salice su pantaloni beige, fatti di una stoffa da strabazar, e ai piedi indossava ballerine azzurrine. Amava quel genere di vestiario tendenzialmente orientale.

“Ciao Nico. Quanto tempo!? Come stai!? Cosa fai?”, continuava ad incalzarmi di domande ed io rispondevo a monosillabi.

Non feci altro che guardarla tutta la sera. Non me ne fregava niente di quello che stava dicendo, il mio sguardo ciondolava tra i suoi occhi blu e le sue labbra che, come per magia, si schiudevano di tanto in tanto lasciando spazio a quel sorriso che ora come all’ora, mi rapiva.

Tutti se ne andarono e ci ritrovammo lì, io e lei. “Andiamo!? Ti accompagno io”, le dissi.

Parlammo lungo tutto il tragitto, la sua voce era meglio di qualunque radio. Mi raccontava del lavoro da commessa che aveva trovato in un negozio di cosmetici e che aveva provato a rivedere il padre dopo quasi dieci anni, ma non era andata benissimo. Quindi aveva deciso di cambiare aria, fantasticavo che l’avesse fatto per tornare da me.

Lei non aveva smesso di farsi come nemmeno io. Continuammo a conversare, ormai l’imbarazzo era svanito. Era tutto bellissimo come se non ci fossimo mai separati.

Avrei voluto fissare quel momento per riuscire ancora a vedere quel viso e sentire quella voce capace di decidere del mio umore.

“Ne hai un po’ da lasciarmi?”. Ancora non avevo capito bene di cosa stesse parlando. Ero perso in quel momento. “Nico”, insistette lei. “Ne hai un po’?”

Non sapevo cosa rispondere. ‘Aspettava solo quello? Le strette, le carezze e i sorrisi erano solo per quello?

La mia delusione si espresse in un –NO!- secco. “Ne ho a mala pena per me”, replicai.

Spense la radio, io continuavo a fissare il finestrino. Appoggiò la borsetta ai suoi piedi, si avvicinò lascivamente . “Ti prego, lasciami qualcosina”, mi sussurrò all’orecchio.

Stetti zitto, consapevole del fatto che quella era la cosa che avrei voluto dal primo momento che l’avevo rivista, più di ogni altra cosa.

Mi baciò il collo, impiastrandomelo del suo alito caldo. Sapeva che io ero pazzo di lei, non riuscivo a vederlo come un furto, come un tentativo di ingannarmi ben camuffato.

Ritornò sul suo sedile senza mai distogliere lo sguardo da me. Era bellissima proprio come me la ricordavo.

Un altro sorriso, forse compiaciuto per il fatto che non riuscivo a resisterle. Mi chiedevo se l’avesse fatto anche con qualcun altro; se tutta quella passione fosse esclusivamente per me.

Era da tanto che non eravamo così vicini. Cominciai a baciarla, a stringerla.

Avevo pensato fosse dimagrita un po’ per la vita frenetica che stava conducendo. Probabilmente era lo stress a spiegare quel viso ossuto. Sì, sicuramente era per quello.

Avevo cercato risposte a quel viso sciupato e le avevo trovate. Ma non erano giuste, non erano quelle. Non era così. Quelle risposte non bastavano a spiegare tutto il resto. A raccontare quello che vedevo, mentre si toglieva la maglietta.

La pelle era chiara e, in alcuni punti, chiazzata e striata da alcune smagliature più scure. Le spalle strette terminavano con una punto d’osso sporgente. Francesca aveva perso tutta la sua uniformità. Le costole sporgevano da quel pallore. Continuavo a toccarla, più per capire che per altro. Quaranta chili, a dir molto. Francesca comprese il mio imbarazzo e si allontanò. Strappò la maglietta dal sedile e si rivestì. La maglietta, messa in fretta e furia, le cascava da ogni dove.

“Da quanto va avanti così?”, gli chiesi io.

“Non ti ci mettere pure tu!”. Teneva le braccia conserte infilzate nel petto.

“Ne hai parlato con qualcuno?”

“Di cosa?”, cominciò a urlare lei. “Di cosa? Siete tutti scemi voi. Cosa ne sapete? Cosa volete saperne voi?”

I capelli, nell’accovacciarsi su se stessa, erano scivolati lungo le guance. La testa era squadrata, gigantesca rispetto al resto del corpo. L’anoressia.

Ne avevo sentito parlare, avevo visto ragazze e ragazzi dimagrire, ma non ci avevo mai capito niente e non ne avevo mai avuto a che fare direttamente. Piangeva, sempre con le braccia conserte. Il pianto sembrava essere l’unica cosa viva che le era rimasto. Tutto il resto era gracile e debole. “Sono orribile, vero?”. Non rispondevo.

“Dai su, dillo pure: sono orribile, non è vero? Sono grassa, troppo grassa. Tanto lo so. Puoi dirmelo”. Mi si gelò il sangue. Tacevo e la guardavo. “Ecco perché mi hai allontanato. A voi piacciono solo quelle perfette”. “Guarda Fra che io….”. Non mi lasciava parlare, mi sbraitava in faccia. “Sai da quanto tempo faccio diete per voi uomini?” Aveva il volto paonazzo dalla rabbia. La sua carnagione aveva ripreso colore. “Sai da quanto?” Finalmente si calmò tra i suoi singhiozzi. Francesca. La ragazza che ho più amato, quella per cui avrei fatto qualunque cosa. I suoi capelli, quelli che più ho annusato, le sue labbra che più ho sfiorato, le mani che non ho mai lasciato. Sapevo che era lì dentro, tra quelle frasi assurde e isteriche. Era lì, ne ero certo. Aveva solo bisogno di qualcuno che….“Francesca”, la voce mi usciva a malapena.

Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime. Immagini e ricordi, sensazioni e carezze. Tutto tornava alla mente. Quelle immagini portarono alla luce le forme e i colori che una volta esplodevano in lei. Per me era tornata quella di un tempo consapevole di essere mia ed io orgoglioso di essere suo. Il testone secco e ossuto sparì come per magia insieme a quei minuscoli polsi, portandosi via anche quell’inutile pelle color calce, non so se era solo la fantasia o il dolore del ricordo. Eccola lì, bella e solare. Mi rendevo conto di quello che eravamo, due tossici, e mi rendevo pure conto che queste cose non possono sicuramente fare del bene, ma ciò che era in Francesca non era in me, ciò che era in Francesca la stava mangiando, cancellandola. Forse era in fondo quello che lei voleva , ma non quello che desideravo io. Quegli occhi e quelle labbra di cui prima vi ho parlato sono nel mio cuore e nella mia memoria, solo chi ha amato lo può capire. Mi avvicinai a lei. A ciò che era per me. La baciai come non l’avevo mai fatto e le dissi, accarezzandole il viso.

“Francesca, non ti preoccupare… SEI BELLISSIMA”
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Kidane Grianti
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.