Stringerò la tua mano

Ciao D., come stai? Ti sto pensando tanto in questi giorni. Non so dove sei, cosa tu stia facendo. E sono preoccupata, tanto. Immagino i tuoi passi seguire le mie orme e perdersi come è successo a me

Non riesco proprio a spiegarmi come abbiamo fatto a spingerci così oltre, a ridurci in questo modo.

Eravamo due sorelle unite, avevamo una famiglia bellissima, una casa bellissima, non ci mancava nulla, eppure il nostro legame così forte e profondo non è bastato a proteggerci.

Ci siamo perse, ci siamo nascoste da tutto e da tutti. Anche l’una dall’altra. Fingendo di essere forti, capaci di gestire le difficoltà, di sfidare il mondo. Dovevamo raccontarci le nostre fragilità, farci forza a vicenda, e invece…

Non riesco a darmi pace per questo sbaglio che ci ha portato ad estraniarci dalla realtà, dalla società e a rifugiarci nelle droghe. I nostri giorni per la strada sono stati lunghi e difficili. Ora, io sono a San Patrignano e sto lottando contro i miei demoni, mentre tu chissà dove sei e cosa fai, vorrei farti aprire gli occhi e raccontarti che esiste una vita migliore di quella che avevamo e che io la sto vivendo e mi rende felice. Ogni volta che penso a tutto quello che non ci siamo dette, a tutte le volte che non ci siamo aiutate, a quando eravamo piccole e ad un lontano ricordo che spesso mi torna alla mente. Ti ricordi quella volta al mare a Capoliveri? La macchina calda, lo stereo con la canzone di Zucchero a tutto volume, papà che cantava, ridendo e scherzando con mamma e tu seduta accanto a me in quel lungo e interminabile viaggio. Il parcheggio era quasi sempre introvabile. Papà girava, girava, poi finalmente si arrivava a destinazione. Zaino in spalla e gonfiabili in mano camminavamo con i nostri genitori verso la spiaggia. Quel giorno la brezza era forte e il rumore delle onde ci avvertiva che il mare era arrabbiato. La sabbia era rovente, sembrava lava incandescente di un vulcano in eruzione. L’unico sollievo era saltare d’ombra in ombra, in un susseguirsi di risate e schiamazzi. Ci avvicinammo alla riva, fino a sfiorare l’acqua con i piedi. Era fredda. In quell’attimo un’onda si spezzò, frantumandosi in mille schizzi che ci fecero rabbrividire. La prima reazione fu quella di scappar via ma poi, con grande entusiasmo e decisione, ci prendemmo per mano e, correndo da metà spiaggia, ci tuffammo in acqua. In un attimo ci ritrovammo a largo. Giocavamo, scherzavamo. Tutto sembrava normale, fino a quando le onde iniziarono ad apparire minacciose. Grandi, erano sempre più grandi. Ad un certo punto sentii l’acqua ritirarsi; il tempo di girarmi e di fronte a noi stava arrivando un’onda gigante che ci avrebbe travolte. Nuotando ti avvicinasti a me. Sentii la tua mano afferrare la mia e stringerla. «Non avere paura Debora. Chiudi gli occhi e ripeti io sono più forte, io sono più forte. Non ti preoccupare Debora, io sono qui con te». Ci girammo, l’onda era sopra di noi. In un attimo fummo travolte; ci fu un gran frastuono, era come stare dentro una lavatrice. Per fortuna dopo poco tornammo in superficie. Mi sono sentita invincibile. «Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!». Esultai di gioia, non mi ero mai sentita così forte. Anche adesso, come allora, sto lottando contro le mie più grandi paure, con l’unica differenza che tu non sei qui con me. Quando sono triste penso a quanta forza mi hai dato quel giorno, e quanto mi sei stata vicina, sapendo che alcune di queste mie paure sono pure le tue, per questo so che un giorno sarò io a tenderti la mia mano. Grazie D., tua sorella.
Debora
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.