SUPEREROI CADUTI

Le periferie delle città sono dei luoghi strani, architettonicamente vuoti ma se le guardi bene in profondità, c’è la vita dentro. Casermoni tutti uguali, come degli alveari umani, dove abita una grande varietà di gente, poveri, pensionati, trafficanti, immigrati, topi d’appartamento, operai, tossici e famiglie.

Tutti lì, insieme, a condividere il marciume e il degrado umano al quale le persone si sono assuefatte e davanti al quale passano con estrema indifferenza.

Io sono nato qui, figlio di artisti incompresi, che hanno preferito la fuga alla realtà, ma che volente o no, sono i miei genitori e devo convivere con le loro teorie fricchettone sulla società, sullo stato e sui modi di vivere.

Praticamente, io sono cresciuto come un selvaggio, in strada fra immondizia nauseante e partite a pallone con i ragazzi del quartiere.

Non ero mai felice, tutte quelle bruttezze m’ indignavano, spesso prendevo la metro e me ne andavo a fare un giro ai quartieri alti, a respirare un’po d’aria buona, ma anche questo non diminuiva la mia sofferenza e il mio disagio.

Forse erano proprio questi sentimenti che mi spinsero fra le braccia di un gruppo nazi, i Goth Red, del nostro quartiere. Li ho incontrati un giorno appena fuori dai palazzi, dove le case si congiungono con i campi ed erano impegnati in una delle loro “missioni punitive” contro un gruppo di ragazzini che chiedevano l’elemosina in giro, gli stessi che accendevano fuochi per scaldarsi nelle fredde notti invernali.

In un attimo tutto nella mia mente ha preso forma, supereroi, questo è quello che pensavo di loro, gli unici che riuscivano a vedere, gli unici ai quali importava qualcosa, gli unici che facevano qualcosa per migliorare la situazione.

Ho iniziato a frequentarli e velocemente sono diventato un leader nel gruppo, i ragazzi più grandi sapevano benissimo come sfruttare il mio odio e la mia rabbia per rendere più efficace ogni situazione.

In gruppo perdevamo ogni controllo, ci sentivamo forti, e spesso le azioni ci sfuggivano di mano, adrenalina, violenza, sangue e alcol erano le nostre droghe.

E ne eravamo assuefatti, più dei tossici che picchiavamo, pensavamo di essere migliori di loro ma in realtà eravamo come loro.

La violenza non ci bastava mai, e più passava il tempo e più avevamo bisogno di emozioni forti, così iniziammo a usare anche anfetamine, eravamo in preda a deliri d’onnipotenza, con in tasca dei coltelli, sempre in mezzo a risse con zingari, ultrà di calcio e qualsiasi varietà umana che rispondeva ai nostri insulti.

Poi un giorno incrociammo in fondo alla via, Sahrji, il mio vicino di casa, un ragazzino al quale volevo un gran bene, eravamo cresciuti insieme giocando a pallone e guardando cartoni animati in tv. Era figlio d’ immigrati ormai integrati a pieno nella società, la madre stava in casa e il padre era muratore, aveva altri fratelli credo due, ma non li avevo mai visti chissà in quale città si erano trasferiti.

Sahrji, era timido e introverso, e un giorno mentre stavamo ascoltando la musica mi confida che è attratto dai ragazzi e che si vergogna di questo, e che i suoi genitori lo avrebbero ucciso se venivano a sapere una cosa del genere. Per me non era un problema, io gli volevo bene lo stesso, era il mio amico, lui mi capiva e mi ascoltava, e ci divertivamo un mondo insieme.

Quel giorno lì invece l’ho tradito, per sentirmi superiore di fronte ai miei nuovi amici, ho rivelato il suo segreto, e loro come un branco di lupi famelici, si sono scagliati contro di lui insultandolo e picchiandolo.

Gli facevano male, lo sentivo urlare, piangeva li pregava di smettere ed io ero lì impassibile, bloccato, lo guardavo, avrei voluto reagire andare da loro e mandarli via, ma il mio corpo era fermo non si muoveva, rigido come fosse fatto di pietra.

Lo picchiarono così tanto che non sembrava più lui, poi loro scapparono ed io con loro, mi vergognavo di me stesso non sarei riuscito a guardarlo negli occhi ancora una volta e vedere il suo disprezzo e la sua delusione. Mi sentivo un traditore, mi facevo schifo.

Rimasi in casa per giorni senza uscire, ho saputo che i genitori l’hanno portato all’ospedale per farlo curare, sarei voluto andare a trovarlo ma sono troppo vigliacco, troppo per chiedere scusa.

Ora non ci parliamo più, la nostra amicizia non esiste più, spesso ci incontriamo davanti al portone, ma lui non mi guarda, è come se non esistessi, mentre io senza dirgli una parola, sono lì che spero in un suo minimo gesto d’affetto nei miei confronti.

Sono solo adesso, con un enorme peso sulla coscienza che non mi dà pace, che mi fa stare male e che non mi fa vivere.

Ho sprecato anni a odiare il posto in cui sono nato e cresciuto, sentendomi diverso dalle persone che lo abitavano, ma in fondo cos’ ho di diverso…niente, anzi sono peggiore di tutti loro solo per il fatto di credere di essere migliore.

Io sono orrendo come questa periferia…io sono solo spazzatura!
Chiara
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.