Nessuno cresce da solo

Io pensavo di essere già grande, perché in fondo sapevo badare a me stesso e a chi mi stava vicino, senza chiedere niente a nessuno. Trovavo sempre il modo di risolvere i miei problemi, a modo mio.

Era molto tempo che vivevo per strada. Stavo in una fabbrica abbandonata insieme ad altre due o tre persone. Insieme ci eravamo organizzati per andare avanti. Avevamo un piccolo forno elettrico, i sacchi a pelo, i vestiti e le cose lasciate nelle valige, che aprivamo all’occorrenza. Cercavamo di andare in giro a turno, per non lasciare tutto lì incustodito, e cercavamo di rimediare quello che ci serviva per vivere.

C’erano vari modi di trovare i soldi. Molti “scollettavano”, cioè stavano in giro a chiedere soldi alla gente, inventandosi le scuse più assurde; altri spacciavano, o portavano la gente da uno che vendeva. Io rubavo. Entravo nei negozi, oppure tra le bancarelle al mercato, e mi mettevo sotto i vestiti ogni cosa, anche altri vestiti. Ero molto bravo a non farmi vedere, pochissime volte son dovuto scappare via. Non mi hanno mai beccato.

Sono dovuto crescere in fretta, per cavarmela da solo. Per sopportare tutto questo, per non sentire il peso delle mie scelte e delle giornate, che mi portavano sempre un po’ più in basso, ho cominciato a usare eroina. Quando mi facevo ero in grado di superare ogni ostacolo, di farmi scivolare addosso tutto. Ogni emozione, bella o brutta che fosse, non poteva toccarmi. Era così che conducevo la mia vita, fino a qualche tempo fa.

Mio padre aveva cercato di parlarmi, di farmi cambiare, ma io l’avevo completamente tagliato fuori dalla mia vita. Per orgoglio volevo vivere come dicevo io, dimostrando agli altri e a me stesso che sapevo stare al mondo. È per questo che ero andato via di casa, sei mesi prima. Avevo diciotto anni ma non sopportavo di scendere a patti con i miei, di ascoltarli e di rendere conto alla gente, così ho fatto di testa mia. Poi un giorno sono tornato alla fabbrica e ho trovato altra gente, più grande. Si erano presi tutto quello che avevamo e hanno fatto uscire tutti. Quella notte ho dormito su una panchina. Mi ricordo ancora la mattina dopo: quando mi sono svegliato ho pensato che sarei dovuto diventare come loro, come quelli che ci avevano buttato fuori, se volevo stare al mondo. Poi ci ho pensato bene e ho capito che era stupido. Non potevo diventare così, come quelli che odiavo. Così sono tornato a casa. Sono arrivato sul pianerottolo e ho bussato alla porta, con la testa bassa. Quando mia madre ha aperto ho saputo dire solo: “Ho bisogno di una mano. Non ce la faccio”.

I miei genitori mi hanno portato all’associazione che mi avrebbe fatto entrare a San Patrignano. Mi hanno detto di ascoltare gli altri, di fare quello che mi dicevano. Dopo un mese sono entrato in Comunità. I primi tempi ho fatto una gran fatica, mi sentivo come se fossi tornato bambino. La gente doveva stare sempre con me, controllarmi e per ogni decisione dovevo confrontarmi con un ragazzo; per cosa fare la sera o per come fare un lavoro. Per tutto. Ero in Comunità per crescere ma mi sentivo sempre più un adolescente. Non sopportavo quella situazione.

Ma le persone non diventano adulte quando le loro possibilità aumentano. Crescere vuol dire affrontare i propri limiti e migliorarsi, accettando i giudizi degli altri e cercando di mettersi in gioco per tutti quelli che vivono con noi. All’inizio non lo capivo, poi me ne sono accorto, guardando anche gli altri. Ho visto che le persone forti, che io ritenevo adulte, erano quelle che sapevano tenere a bada le proprie emozioni, gestirle, riuscendo ad accettare i propri sbagli di fronte a tutti con la testa alta, pronti a porvi rimedio. Spesso vedevo anche persone di quarant’anni trovare delle scuse, pretendere delle cose senza impegnarsi per ottenerle, dicendo sempre “io ho quarant’anni”. Ho cambiato totalmente la mia visione del mondo, qualcosa è cambiato in me. Ho capito cosa significhi la parola “crescere”, ma soprattutto ho capito che ho ancora un bel po’ di cose da imparare. In fondo adesso ho vent’anni, devo ancora farne di strada, soprattutto con l’orgoglio e la testa dura che mi ritrovo. Ma quello che conta più di ogni altra cosa è mettersi in gioco in tutto e per tutto, dire quello che si pensa e aprirsi agli altri. Perché nessuno cresce da solo.
Federico
 
Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.