Ho un amico che ha un problema

Ho un amico che ha un problema: si vede grasso. Cioè, non è solo una sua impressione, lui è effettivamente un po’ sovrappeso. Questo gli crea tutta un serie di problemi per i quali fa fatica a stare insieme alle persone e ad avere una vita uguale a quella dei ragazzini della sua età. Ad esempio, non ha a che fare con le ragazze. Non esce con gli amici, non che ne abbia tanti. Non si appassiona a niente, non ha nessun hobby. Ha provato a fare qualche sport, ma non gli riescono, perché è goffo, si muove male. Così ogni volta molla. Non c’è niente che lo appassioni. Ho provato a spiegargli che è come un cane che si morde la coda, ma è inutile, non ne vuole sapere.

Poi un giorno è successa una cosa, a scuola. L’ho visto assieme al gruppetto dei ‘bulli’ della scuola. Quelli che fanno sempre gli scemi, quelli che non la risparmiano a nessuno, quelli che fanno giochi stupidi e poi si filmano mettendo tutto sui social, quelli che la fanno sempre grossa. Sempre più grossa. Fanno a gara tra di loro su questo. Una sfida continua, senza testa, senza logica. Esasperata.

Il mio amico si è catapultato giù dalle scale a bordo della cattedra della prof, ribaltata al contrario. Quando è arrivato in fondo il tavolo si è bloccato e lui è rotolato in avanti contro il muro.

Sono andato da lui e gli ho detto di smetterla. Gli ho spiegato che non è questo il modo per approcciare con qualcuno, che loro non gli volevano davvero bene. Lui mi ha risposto di farmi i fatti miei, perché quelli sono i suoi amici e sono i primi che l’hanno accettato per quello che è. Io gli ho detto che non è vero, che non lo accettano certo per quello che è, ma per quello che fa e che si stanno prendendo gioco di lui. Non mi ascolta, le mie parole gli scivolano addosso. Non ne vuole sapere di quello che gli dico. Ma io ho paura, ho davvero paura che si faccia del male.

Forse mi sbagliavo. Questi ragazzi hanno cominciato a uscire con lui, ad andare a prenderlo a casa, a portarlo fuori il pomeriggio e la sera. Ho visto anche qualche foto di una festa di compleanno che hanno fatto insieme, insieme ovviamente al solito video stupido. Uno di loro si è lanciato sulla torta, con le candeline accese sopra. Il mio amico era lì, sorridente. È uno di loro. Sono quasi due mesi che girano insieme, lui sorride sempre, è anche un po’ dimagrito, anche se non è ancora un figurino. Ma sta bene.

Più o meno.

Oggi sono andato a trovarlo in ospedale. Ha provato a fare uno dei suoi soliti video del cavolo: era sulla sua bicicletta, viaggiava veloce lungo le strade della città, attaccato a un autobus. Si è rotto una gamba. Gli è andata molto bene, poteva morire. Quando sono entrato sono rimasto di stucco, nel trovare lì con lui tutti i suoi amici fulminati, con i cioccolatini, le riviste, i libri, i film: tutto quello che a lui faceva piacere ricevere. Aspettavano che si svegliasse. Ora si rendevano conto.

A quel punto, dentro quella stanza, mi sono sentito spaesato. Anche io, come loro, non sapevo cosa fare, cosa dire. Non ce l’avevo la risposta giusta, non sapevo quali parole usare per fargli capire ciò che mi sembrava così evidente. Così ho preso il telefono, ho chiamato mia madre e le ho detto l’unica cosa che potevo dire: “Mamma, ho bisogno di una mano. Ho un amico che ha un problema”.

In quella stanza eravamo in dieci. Tutti di quindici anni. Abbiamo ascoltato i consigli di mia madre, quelli del medico, poi ci siamo beccati anche le sgridate della mamma del mio amico. Eppure tutte quelle cose noi le sapevamo già. Tutti noi sapevamo che quelli erano scherzi irresponsabili, che potevamo farci male davvero.

In fondo, sapevamo tutti che era tutto una scusa per stare insieme, per ridere e star bene. Solo che non avevamo le parole per dirlo. Così, al posto di parlare, o di pensare, loro facevano semplicemente quello che gli andava, e io non riuscivo a spiegargli quello che vedevo. Era soltanto una stupida e semplice frase. Ma è bastato semplicemente dirla, tirar fuori quello che sentivo dentro, per scavalcare quel muro: “Mamma, Ho un amico che ha un problema”.

Enrico

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come abbonarti.