Scarabocchi

Un piede davanti all’altro, i miei passi non lasciano orme sull’asfalto del marciapiede. Nessuno sa dove sono. Sono le sette e mezza, a quest’ora mamma avrà preparato lo spezzatino, coi piselli e le patate e il sughetto, come ogni venerdì. Non sento più le gambe, non so dove sto andando; cammino con la testa che pensa a cose che non saprei descrivere, mentre cerco di allontanare la consapevolezza che prima o poi dovrò tornare a casa. E prenderò le botte.

Perché deve essere così difficile non lo so. A tornare indietro rinuncerei a tutte le mie battaglie; studierei, farei i compiti e uscirei di meno con gli amici. Starei di più con la famiglia. Ma forse è che sono fatto così. Ogni volta le cose vanno in modo diverso, ma alla fine il risultato è sempre quello, che io non vado bene, che quello che mi piace non va bene, che dovrebbe proprio piacermi il contrario. E invece a me piacciono i teschi. Teschi umani, scheletri: mi fanno impazzire. Non centra che “spaccano”, o che mi fanno sembrare cattivo. Non hanno un senso che mi ricorda qualcosa. Mi piacciono e basta, come sono fatti. C’è a chi piacciono le bambole, a chi piace… che ne so io. Io ho preso una decisione per la mia vita. Forse è vero, avrei dovuto aspettare qualche anno per farlo, quindici anni sono pochi; ma ormai l’ho proprio fatto. Mi sono fatto tatuare tutto l’avambraccio, coi teschi in bianco e nero che si mordono tra loro, tutti sfumati, con le cavità degli occhi vuote e un puntino rosso che galleggia al centro del bulbo oculare. Sono tutti crani di esseri umani, ma ogni teschio ha i denti diversi, da squalo, da vampiro. Gli ultimi, sul polso, hanno i tentacoli al posto della mascella. Cattivissimo. Me l’ha fatto un ragazzo a scuola che è molto bravo, gli ha insegnato suo padre che ha un negozio. L’ho pagato 300 euro, tutti i miei risparmi più le scarpe nuove. Ho saltato scuola, ci sono volute quattro ore stamattina, a casa sua, ed eccolo qua. Mentre ero lì pensavo a tutti i lavori che avrei perso, a tutte le ragazze che avrei conosciuto, a quante persone mi avrebbero voluto conoscere solo per quel tatuaggio e a quante, solo per quello, mi avrebbero allontanato. Alla fine ho preso questa decisione per il motivo più banale. Perché piace a me. Tutto il resto doveva venire di conseguenza. Non il contrario.

Questa è la mia vita. Questo è ciò che ho scelto. Solo che adesso non ho assolutamente idea di come affrontarlo. Ho seguito l’istinto, senza ascoltare la coscienza, il buonsenso e tutte quelle vocine che parlano da dentro. Ora però non parla più nessuno, tranne lo smartphone, che se lo accendessi ne avrebbe eccome di cose da dirmi. Camminare mi sembra l’idea migliore, anche se non so dove sono.

È difficile descrivere cosa provo, quando mio padre ferma la Bmw di colpo, dall’altra parte della strada, esce e attraversa senza guardare, facendosi quasi investire. In momenti come questo ti pietrifichi, senti paura, stupore, sgomento, tutto insieme, e rimani lì senza riuscire a far niente, senza prevedere nulla. Mio padre mi abbraccia. Sta piangendo. Oddio papà, ma lo sai cos’ho fatto? Lo sai che mi sono sporcato tutto il braccio, che non verrà via mai più? “NO, DAVID” dice lui, “NON LO SO, MA NON ME NE FREGA NIENTE, HO AVUTO TANTA PAURA… È TUTTO IL GIORNO CHE TI CERCO, TUA MADRE PIANGE DA MEZZOGIORNO… VOLEVO SOLO CHE STESSI BENE, E ORA SEI QUI CON ME… ODDIO, DAVID NON FARLO MAI PIÙ, TU SEI IL MIO BIMBO…” e mille altre cose, che ascolto e che non sento più, mentre guardo mio padre piangere. Forse sto piangendo anch’io. La gente ci guarda, io abbraccio mio padre, sono già a casa, qui con lui.

Saliamo in macchina, lui guida, sorride, non parliamo. Come si sta bene qui al caldo, seduti; sento la fame ma non fa niente, sto così bene che mi basta guardare fuori dal finestrino, il buio e le luci gialle e arancioni che giocano sul finestrino, scorrendo via veloci, mentre la macchina accelera e mi attacca al sedile di pelle. Questo è il posto più comodo al mondo, l’unico dove vorrei stare adesso. Quello che ho sul braccio forse è un errore, anzi probabilmente. Questa è la vita, non siamo a scuola; non esiste una gomma che possa
cancellare questo segno, è indelebile.

Ma forse è meglio così. Perché di tutti gli errori che ho fatto a scuola, gli unici di cui mi ricordo sono quelli fatti a penna, quelle macchie nere scarabocchiate in mezzo ai fogli bianchi e le righe ordinate. Forse vale la stessa cosa anche per questo tipo di sbagli. E quando da grande mi guarderò il braccio, prima di dirmi quanto sono belli i teschi, penserò allo spavento che ho fatto prendere stasera a mio padre.

Federico