Rivoglio la mia vita a colori

Fu durante il periodo delle medie che la mia vita cambiò completamente e quella serenità, quelle certezze, quel mondo fatto di affetti, di amici, di colori, con i quali riempivo i miei fogli da disegno, crollò.

A scuola ero il più grande di tutti. Pubertà precoce avevano detto a mia madre. Già questo mi creava un profondo imbarazzo. Con i ragazzini della mia età non stavo molto bene. Mi sentivo più a mio agio con quelli più grandi. Inizio a frequentare due ragazzi. Con loro comincio ad avvicinarmi alla droga: le prime canne. E da lì non mi sono più fermato.

La pubertà precoce ebbe delle conseguenze che mi segnarono tantissimo. Mi addormentavo. Improvvisamente. Entravo in uno stato di semi incoscienza. Mi imbarazzavo tantissimo. Mi sentivo osservato, giudicato da tutti. Non volevo andarci più. Stavo male. Mi creava ansia entrare in classe. Nessuno capiva cosa avessi esattamente. Non lo hanno capito mai. Sono cresciuto con questa angoscia, con il pensiero fisso di non essere normale. Solo dopo tanti anni riuscirono a diagnosticarmi cosa avessi realmente. NARCOLESSIA. Questa era la mia malattia. Non ero anormale. Ma io fino a poco tempo fa non l’ho mai saputo. Per me è stata una liberazione.

In quello stesso periodo mio padre perse il lavoro, dopo pochissimo morì mia nonna. Lei era la colonna portante della famiglia. Il fulcro. Quella che teneva tutti uniti. Morendo lei successe di tutto. O meglio tutti tirarono fuori il peggio di sé. Le liti diventarono all’ordine del giorno. Tutto per l’oro, i soldi. Per portarsi via quello che era di mia nonna. Io respirai tanta cattiveria, tanta sofferenza, soprattutto in mia madre, la più indignata di tutti per quella situazione in cui nessuno sembrava provare davvero dolore per la scomparsa della nonna, ma tutti si preoccupavano di come sarebbero state divise le sue cose.

Io avrei voluto proteggere la mia mamma. Lei era una persona buona, generosa. Ma non sapevo come fare e questo mi spezzava il cuore. Questo per me è stato un momento dolorosissimo. Ho iniziato a non fidarmi più nessuno. Mi sentivo tradito. Tradito dalla mia famiglia. Fu un momento della mia vita davvero drammatico: mio padre, mia nonna, la sofferenza di mia mamma. I miei problemi a scuola. La mia malattia, che mi tormentava.

Nella mia vita la droga entra di prepotenza. Canne, ma poi l’eroina. Dopo poco arriva anche questa. Ci arrivo presto per non sentire più male. Mi illudevo che la droga avrebbe risolto qualsiasi cosa.

Ero sensibile troppo. La sensibilità è una ricchezza. Ora l’ho capito. Ma allora ero giovanissimo e la vivevo come una fragilità. Un fiume in piena che non sapevo evitare e mi travolgeva. Vivevo tutte le emozioni in maniera amplificata. Quello che accadeva in casa mia mi faceva male. Non riuscivo a trovare la forza di andare avanti, di trovare una speranza.

La droga mi era sembrata l’unica soluzione. Dietro quella nascondevo tutto. Anche il mio problema della narcolessia. Ero fatto. Punto. Non diverso.

Aprivo la porta di casa ed entravo in un altro mondo. La faccia peggiore di Napoli. Dalla quale mi lasciai travolgere senza riuscire ad uscirne più. Ho fatto parte di quel mondo. Ho fatto quello che quel mondo chiedeva. Quello che facevano gli altri. Lavoravo in fabbrica, ero molto bravo. A 18 anni ero già caporeparto. Guadagnavo più di mio padre, ma i soldi non mi bastavano. Iniziavo a drogarmi già alla mattina. Non facevo niente senza quella. Ho rubato, sono stato in galera. L’adolescenza io l’ho saltata completamente.

Mi sono trovato catapultato nel mondo dei grandi. Con tutte le loro regole a cui dovermi adattare per riuscire a sopravvivere. I miei amici non erano i compagni di scuola, o quelli con cui si faceva sport. Erano i peggio, quelli buttati in strada a fare le peggio cose. Non vi sto a descrivere come era la mia vita nei quartieri peggiori di Napoli. Potete immaginarla. Sembrava un film!!!!!

Poi arriva il periodo del militare. Per me fu una liberazione. Avevo iniziato a farmi tutti i giorni. I soldi non mi mancavano, ma la gente mi aveva preso bene e spesso me la regalavano pure.

Durante l’anno del militare sto proprio bene. L’eroina sparisce, in più quella esperienza mi entusiasmava. Facevo cose nuove: le esercitazioni, il poligono, la preparazione fisica in mezzo ai boschi, la ronda di notte con il fucile, le ore sui carri armati. Io che ero sempre vissuto in mezzo al cemento, vivevo ogni giorno come una scoperta. Il maresciallo mi aveva preso in simpatia. Mi propose di rimanere, di lavorare lì nell’esercito. Aveva preso a cuore la mia storia, voleva aiutarmi. Ma il mio legame con la famiglia era troppo forte, e io volevo tornare, anche se sapevo che a Napoli per me non c’era futuro.

Conobbi un ragazzo di Modena, che faceva i tatuaggi, frequentava i centri sociali e quel mondo iniziò a piacermi. Era il 1997. Si parlava di politica, di cultura, di musica. Ripresi a farmi. Di brutto. Girava della roba diversa, costava poco, si fumava e dava una fortissima dipendenza. Iniziai a fare anche io i tatuaggi. Ero bravo, disegnavo molto bene e divenni subito famoso. All’inizio lavoravo solo il sabato e la domenica. Ma avevo la fila sotto casa e decisi di mollare il lavoro e di dedicarmi solo a quello. Guadagnavo un sacco di soldi. E questa fu la mia rovina. E nel frattempo non è che mi accontentavo. Anzi. Facevo anche le stronzate. Di sera. Scippi, cavolate per strada. Non so perché. Ma ero un treno in corsa. Non mi fermavo più. Facevo soldi e li spendevo. Subito. Li odiavo i soldi. Ma mi servivano per comprarmi la droga, per riempire la mia vita di cose materiali. Per vivere di apparenza e nascondere così tutte le mie fragilità, costruendo ogni giorno il mio personaggio. Intanto il mio lavoro da tatuatore stava andando alla grande. Spaccavo! Avevo aperto un negozio. Avevo anche iniziato ad inventare e a creare gli strumenti del lavoro. Ricordo che partecipai alla prima convention internazionale di tatuatori che si tenne a Roma e lì ebbi un successo incredibile. Le grandi aziende produttrici iniziarono a comprare da me i macchinari per fare i tatuaggi.

Con la droga sempre peggio. Eroina, crack, alcol. Non avevo freni. La situazione era drammatica. Io vivevo in casa con i miei. La mia famiglia non ce la faceva più. Addirittura mia madre dalla disperazione mi fece arrestare. Andai in carcere, entrai in una comunità, dove rimasi per un anno e poi ricominciai tutto daccapo. Non riuscivo a gestirmi niente. Perché la sofferenza che mi ero sempre portato dentro riaffiorava sempre e io precipitavo continuamente. Non avevo mai parlato con nessuno delle mie ansie. Le ho tenute nascoste. In fondo avevo avuto successo, ero diventato un personaggio. Ma erano le emozioni che mi terrorizzavano, era il mio cuore di cui avevo paura e per questo la droga mi aiutava a non sentire.

Sono arrivato ad essere una larva, non stavo più bene da nessuna parte, non stavo più bene con nessuno. La strada mi faceva paura, orrore. Ho mollato tutto. Anche il lavoro. Mi chiudevo in casa e mi facevo anche lì. Non ne potevo più. A volte speravo di non risvegliarmi neanche più alla mattina. Ero a un bivio. O mi lasciavo andare. O sceglievo di riprovare a vivere.

Una mattina stavo guardando la TV. C’era un servizio. Parlava di San Patrignano. Quel posto sarebbe stata la mia occasione. L’ho sentito forte.

Ho scelto di darmi un’altra opportunità. Ho scelto LA VITA.