Il mio incubo

Lui è steso. Provo a togliergli il casco. So come si fa.
In quel periodo da mio zio lavoravo sempre meno, avevo fatto volontariato nelle pubbliche assistenze e mi stavano assumendo.
Pronto soccorso di base, rianimazione.
Sapevo. Tolgo il casco pieno di sangue. Provo a fargli la respirazione. Niente.
Eppure io sapevo.
Ma con lui…niente. Non ce la faccio. Non ce la fa. Non sono riuscita a salvarlo.
Da lì un incubo, il mio incubo
Non mi riprendo. Non mi interessa più niente di niente.
I sensi di colpa mi tolgono il respiro.
Mi lascio andare. Mi devasto, sempre di più.
Ogni volta che vado a ballare non mi risparmio. Prendo di tutto.
Incomincio ad andare in depressione.
Per mantenere la facciata fingevo continuamente. Con i miei, al lavoro.
Non ero più io, non ero più niente. Non mi interessava più di niente.
Avevo 20 anni e tra il vivere e il morire avrei scelto morire.
Ogni giorno speravo accadesse. Se passavo vicino un ponte mi veniva voglia di buttarmi di sotto.
Una sera litigo con mio zio. Lui chiama mio padre. Mi viene a prendere. Mi offre un gelato. All’inizio non voglio, ma poi ci vado. Mi chiede cosa c’è. Volevo sputargli tutta la verità in faccia. Ma non lo faccio fino in fondo. Non volevo fargli troppo male. “Papà non ho più nessuna voglia di vivere e se ti dico quello che faccio, so che ti farei troppo male”.
Alla mattina mi trovo i miei in camera. Ora basta bugie, dicono.
Racconto tutto a mia madre. Con lei ero sempre riuscita a parlare. Mamma sbianca.
Esco e vedo mio fratello che non mi guarda neanche in faccia. Quello mi ha fatto più male di ogni altra cosa. Mio fratello non mi voleva più. Per lui non esistevo più.
Rimango sola. Completamente sola!
Un giorno mio padre mi fa vestire e mi porta al Sert e mi dice basta, da questo momento fai solo quello che dico io. Io gli vomito addosso tutta la mia rabbia, tutti quegli anni in cui non ci siamo parlati, vissuti. Ma lui non molla. Vedo che soffre. Ma niente. “Eleonora, smettila di farti male. Ora ci penso io a te. Punto”.
Una sera torno a casa presto. Mio padre era sul divano, nel sonno ripeteva il mio nome. “Eleonora smettila, smettila….”. Io inizio a piangere.
La mattina mio padre mi dice vieni con me, una persona ti racconterà la sua storia. Tu ascolta poi decidi. Era una ragazza dell’associazione che collabora con San Patrignano.
Non so cosa è successo. Ma ho deciso.
Sono a San Patrignano da oltre tre anni. Ora mi guardo allo specchio e mi vedo diversa. Ho una luce diversa negli occhi.
Ho voglia di vivere.
Ho ripreso a studiare, voglio andare all’università, voglio crearmi una vita, una famiglia. Fare cose semplici, quelle che ti fanno sentire davvero viva.

-Ele