Ora la Mia Vita è a Colori

Mio padre faceva l’acquarellista e io disegnavo sempre insieme a lui. Lui era fiero di me per questo e a me piacevano le sue attenzioni così mi impegnavo sempre di più nel disegno. Quando ho nove anni i miei genitori si separano e mio padre va a vivere da un’altra parte. In seconda media iniziano le prime feste. Alcool e canne facevano da cornice. Fu in quel periodo che iniziai a disegnare sui muri. Non era una cosa così importante per me però ero bravo e farlo mi faceva sentire qualcuno. Gli altri si facevano le canne e lo faccio pure io. In prima superiore conosco un gruppo di ragazzi “ricchi”, inizio ad uscire con loro, trascurando i miei vecchi amici. Quelli di sempre. Quelli che mi avevano sempre accettato per quello che ero. Finalmente ero riconosciuto da qualcuno. Io ero quello che faceva i graffiti, quello alternativo, quello che si fumava le canne. Mi bocciano e con mio padre inizia il casino. Lui viveva da un’altra parte però mi diceva come mi dovevo comportare, mi metteva paletti e mi dava punizioni. Inizio a non sopportarlo. Cambio scuola e vado all’artistico. Lascio gli amici dello scientifico e torno con i miei vecchi amici, quelli di sempre, e mi appassiono all’arte. Questa volta è diverso, mi ci butto e mi rendo conto che sono bravo per davvero. Ho talento e i miei graffiti non son più delle semplici scritte sui muri. Ma non ho mai pace. Vorrei coltivare la mia passione. Stare con gli amici di sempre. Andare bene a scuola. Essere felice con la mia ragazza, fare contenti i miei genitori. Ma c’è qualcos’altro che mi attira. Non riesco mai davvero a scegliere da che parte stare. Sarà così fino al momento in cui, a un certo punto, non sarò assolutamente più in grado di tornare indietro. Nel nostro gruppo qualcuno usa anche eroina. Io no, non l’avrei mai fatto. Mi chiedevo come l’avrebbero presa i miei vecchi amici se avessi iniziato ad usarla. E, al contrario, quanto potevo restare in un gruppo dove girava di tutto senza fare niente? Mi sentivo oscillare da una parte e dall’altra. E poi c’era Federico: anche lui faceva graffiti come me. Però io ero più bravo e lui lo sapeva. Io sapevo, invece che lui faceva già uso di altre sostanze, era più avanti di me, più trasgressivo. Entrambi invidiavamo qualcosa dell’altro. I miei vecchi amici, ora, li vedevo un po’ come degli sfigati. Quel sabato sera ero uscito presto e avevo iniziato a bere da solo. Quella sera avevo deciso, non avrei più detto di no. Federico ed io eravamo con un altro gruppo di ragazzi tranquilli, non si fumavano neanche le canne. Federico girò le spalle a quei ragazzi e iniziò a stendere due righe di eroina sul telefono: una per lui e una per me! Quel gruppetto di ragazzi ci guardava un po’ schifato ma a me non importava perché finalmente il cerchio si era chiuso. Io e Federico eravamo uguali, ero come lui, mi sentivo forte, finalmente non oscillavo più, anche io ero trasgressivo! Non mi sentivo più in dovere di dimostrare niente a nessuno, quella riga aveva spazzato via tutto. Quella sera dovevo tornare a casa da mio padre, sono andato subito a letto. Lui non si accorse di nulla e tutto filò liscio. Ormai non avevamo più rapporto. Da bambino era l’eroe della mia vita. Ora non più. Non lo potevo fare contento se volevo continuare a fare quella vita. Avevo superato tutti i paletti, con quella riga di eroina, non aveva più senso neanche sentirsi in colpa. Non sapevo più chi ero. Mi ero allontanato da tutti. Era quello che volevo, d’altronde, ma la cosa, piano piano, inizia a farmi male. Solo che non riuscivo a fermarmi. I miei mi avevano beccato e s’iniziò a parlare di comunità. Inizialmente non ne volevo sapere, piuttosto la morte. Mi chiudo in casa, smetto tutto, le acque si calmano ed anche i miei genitori. Pensano che magari ce la faccio. Anche i miei vecchi amici, quelli di sempre, mi aprono le porte. Non fumavo più, bevevo solo un po’. Ma non mi bastava. E la giostra torna a girare. Niente amici, delusione da parte dei miei, ed io torno ad essere solo. Finché un giorno mia madre mi dice che ha intenzione di trasferirsi in Argentina e mi chiede di partire con lei. Io non accetto perché non volevo perdere quello che avevo. Ma perdere cosa? Avevo già perso tutto! Fu quando l’accompagnai in aeroporto che mi resi conto che era finito tutto. Piansi come non avevo mai pianto. Alla sera mi ritrovai in bagno, a casa di mio padre. Pioveva. Decisi di fare basta! Oggi sono qui, in comunità, da un anno. Ci sono ancora tante cose che non mi sono chiare ma una la so: voglio finire la scuola…fare quello che hanno fatto i miei amici di sempre, quelli che a un certo punto ho lasciato per sempre, perché mi sembravano gli sfigati. Quelli che alla fine mi hanno sempre accettato e considerato per quello che sono. Un ragazzo che ama riempire il mondo e la sua vita di colori.
Leandro