Gelide pietre riparanti

Dentro le mie mura, non vedevo oltre. Ma nel monastero Francescano, vedo il chiarore delle cose, tutte amplificate.

Che sia la luce, che pallidamente illumina le stanze gelide, inondando tutto nelle vicinanze delle finestre. Certo, dopo anni spesi a ritrovarmi inghiottito dal tempo fulmineo, sentendo avvertimenti impercepibili, mentre vivevo male, è più che sicuro che la percezione adesso sia cambiata stando con il pensiero organizzato.

Oggi è lo stesso giorno in cui quattro anni prima entrai nel monastero.

Arrivai a piedi, dopo giorni di strazio, solo con il peso dell’acqua, mi salvava ma pesava, specialmente perché ero a digiuno. Questo digiuno era voluto perché mi rifiutavo di cose superflue che mi servivano, non che non mi piacesse mangiare, ma per protesta a tutta la mia sfortuna, preferii non perdere tempo e continuare a camminare.

Me ne andavo da una vita di abbandoni e delusioni, oltre che di consapevolezze di tutte le difficoltà; presenti nella società e nella socialità.

Già allora fui fortunato, ebbi una stanza in una casa di Cinesi, assidui lavoratori; la loro assenza faceva piangere i loro figli che, assieme al trambusto dei mezzi pubblici che passavano, riempivano il sottofondo altrimenti vuoto, come me.

Temevo di uscire, mi spaventava mostrarmi in pubblico e affrontare le persone, semplicemente con uno sguardo. Uscivo solo la notte, con un lavoro di assistente guardia, quando invece nell’ ufficio mi occupavo delle scartoffie; la guardia che assistevo era anche uno spacciatore.

Consumavo Marijuana e sostanze chimiche pesanti; già da anni. Durante il giorno, costantemente fatto e a digiuno, ascoltavo dalle mie cuffie nella mia stanza, a della musica Minimal Tek, a cui sovrapponevo tanti pezzi di musica varia.

Quella musica varia, era l’unica cosa che mi rimase della mia famiglia, perché fui diseredato e per giunta abbandonato. Fecero ciò, per tutelare la famiglia, io, infatti feci venire un infarto che uccise il mio pro cugino, ciò accade quando mi stetti per suicidare, quasi buttandomi da un burrone.

Come mi indebitai con lo spacciatore, che era l’unica persona che vedevo, e spesso con cui consumavo ciò che compravo a prezzi altissimi; dovetti chiedere la liquidazione. Pagai un semestre intero per la mia stanza; al mio ritorno, trovai sotto il portone la mia valigia e la serratura cambiata.

Fu così che mi incamminai per giorni lungo la Francigena, verso il monastero. Decisi di far così, per via della mia parziale asessualità e perché mi ricordai, quando ricevetti l’olio sacro della Cresima, che il Vescovo mi disse della sua intuizione, dicendo che percepiva una forte spiritualità in me.

Giorno dopo giorno, salmi, vesperi e veglie dopo giornate spese in ginocchio a guardare il vuoto in dei quadri sacri, come acque turbolenti mi calmai. Inizialmente, aprii bocca solo per cantare le canzoni Gregoriane, pregavo solo nella mia mente, non rivolgevo parola a nessuno; come incrociavo lo sguardo con gli altri frati, mi venivano dei scatti di scompensi di droga chimica. Inghiottivo ripetutamente la saliva senza smettere, sudando nelle mani, dovendo aggrapparmi alle gelide pietre dei muri. Mi affliggevano dei pruriti insaziabili, che mi salivano per la schiena, dovendomi liberare della lana scadente che me accaldava; per giunta muovevo la testa indeliberatamente tutta d’un lato, mostrando una cicatrice, simile ad uno squarcio sul lato rasato destro della testa; ciò mi fece sprofondare in paranoia, perché mostrava agli altri frati novizi, il mio passato da drogato. Fui infatti spesso massacrato di botte nelle strade della gelida Milano, non solo quando venivo derubato e lasciato per terra con l’emorragia cerebrale, ma talvolta, vista la mia impulsività nella mia impassibilità, che mi portò ad attacchi d’ira, fui preso di mira dai compagni di scuola, che finsero di essere mie amici passeggiando con me, quando poi dicevano agli spacciatori, che ero io quello che rubò la droga che gli spacciatori estremamente pericolosi e furibondi nascondevano nella neve, durante i gelidi inverni. Ritrovandomi perso in qualche zona a me ignota in cui mi abbandonavano i miei presunti amici sfruttatori, che dicevano alle ragazze che avevo i denti incisivi finti, come infatti sono, per via d’incidenti d’oggetto di scherno, quindi le ragazze mi ripudiavano; tutto ciò avvenne, in parte per le mie origini famigliare molto invidiate e per la mia parziale asessualità.

 

Ai frati novizi invidiavo i loro studi che li portarono ad avere lauree, mentre io non finii nemmeno la scuola media, fui costantemente cambiato di scuola perché non mi trovavo con delle compagnie che spesso mi ignoravano, quelle che frequentavo, erano solo quelle dei drogati; per giunta fui tutte le volte espulso.

 

Ebbi un costante senso d’immensa solitudine. Dieci anni ormai segnarono l’ultima volta che vidi la mia famiglia; l’ultima volta che li vidi fu durante una discussione, che si concluse quando mia mamma e i miei fratelli scapparono da me e mio padre mi diede un pugno dove mi manca parte del cranio per via dell’incidente che ebbi; poi si tranquillizzò mi parlò abbracciandomi chiedendo, tra sé e sé, scusa a mia mamma per quel giorno nove mesi prima che nacqui, poi mi disse dei danni che fanno le droghe usando un tono calmo, e mi diede dei soldi. Come tornai, il portinaio mi disse di andarmene se non volevo seri guai. Da quel giorno stetti per dieci anni a Chinatown nelle stanzetta che riuscii a mantenere grazie allo spacciatore, in parte riconoscente per la fortuna che guadagnò su di me. La mia famiglia si trasferii, in un luogo completamente ignoto a me. Prima di diventare completamente sociopatico; talvolta, vidi per strade degli amici dei miei fratelli, come mi videro, mi ignorarono, anche quando gli parlai.

 

Nella notte più fredda dell’anno però sono contento. Il monaco priore mi ha conciliato con la mia famiglia. Lui distinse il volto di mia mamma con il mio, quando per puro caso, il mese scorso stava facendo trekking per la Francigena, lei si fermò per la notte nel monastero, e dipinse gli interni su un quadro. Il monaco priore, prese il suo biglietto da visita e comprò il dipinto; nonostante i fondi del monastero siano esauriti e viviamo nel gelo, perché il Vaticano ha scomunicato tutti per via dell’incessante obbiezione che il frate priore dichiarò, quando dei visitatori videro il mio stato malato e vollero che fossi internato. Il frate priore faticosamente, assieme a me, cambiò gradualmente la mia condizione di depressione, ulteriormente aggravate dai sedativi.

 

Come fui riconciliato alla famiglia, dopo che riuscii a mostrare di star bene e pulito, ogni giorno nel monastero sconsacrato inseguito divenuto agriturismo, mi chiedo: magari avessi saputo prima dei danni della droga, e magari mi avessero dato prime degli strumenti per far gruppo.

Benedetto