Fiamme e gelo

Sono sempre scappata da tutto. Da quando ero piccola. Scappavo da mia mamma, quando litigavamo, e me ne andavo via di casa. Scappavo da mio papà dimenticandomi di lui per quanto volessi vederlo. Scappavo dalla felicità, dall’amore di chi avevo attorno

L’amore, cavolo l’amore, quanto mi ha terrorizzato. Pensare di meritarmi qualcuno o qualcosa era impensabile. Ero un pezzo di ghiaccio. Nulla riusciva a sciogliermi. Tutto mi arrivava contro con la forza di un uragano ma io continuavo a rimanere all’apparenza impassibile, fredda. Ed era proprio quel freddo il mio modo di proteggermi da quello che crescendo mi aveva scottata troppo. Tutto il calore di mia madre mi toglieva il respiro, entrare dentro casa era come sprofondare in un luogo soffocante, senza aria. Era come entrare in una casa che prendeva fuoco. Era quella la sensazione che sentivo e che mi spingeva a correre via, il più lontano possibile. Ma lei non riusciva a vivere senza di me e io non riuscivo a vivere con lei. Quindi ci ritrovavamo insieme, imprigionate. L’una nell’altra. Senza respiro. Troppo amore, troppo calore. Mi soffocava. Ho iniziato ad allontanarmi da lei, sempre di più e ho cominciato a costruire il mio muro di ghiaccio per non sentire più quel terribile calore. Ogni tanto mi rifugiavo da mio padre. Esattamente l’opposto. Freddo, impassibile, una statua. La sua indifferenza spesso mi feriva a morte, ma almeno mi lasciava spazio, aria, tempo. Lui era il mio modello. Quello che volevo diventare: capace di gestire le situazioni senza fare una piega, senza provare nulla. Tutto scivola, tutto passa. Era tutto ciò a cui aspiravo nella vita, soprattutto in quella che mi stavo costruendo. Mio padre, senza rendersene conto, mi mostrava come muovermi, come comportarmi, come non farmi ferire. Ma anche il ghiaccio brucia quando lo si tiene a contatto per troppo tempo con la pelle e finisce per fare lo stesso effetto del fuoco. Quindi ho cominciato a scappare anche da lui. Ero piccola, avevo sedici anni e mi sembrava di essere un palloncino volato via dalla mano di qualcuno. Un palloncino che andava da una parte all’altra trascinato dal vento. Più andavo avanti e più provare qualcosa mi terrorizzava. La paura di legarmi e di essere ferita era un’ombra che non mi lasciava mai, quasi quanto la paura di ferire. Passavano i mesi e io ero sempre più arrabbiata, sempre più cattiva con tutto e tutti, sempre più lontana. Ogni tentativo di avvicinarmi era la spinta per allontanarmi di più e del mio cuore non rimaneva altro che la cenere di ciò che assieme a mia madre avevo bruciato e le schegge di quel muro che tramite mio padre avevo alzato. Ora so controllare le mie emozioni. La mia rabbia, il mio amore, la mia tristezza, la mia felicità. Cerco di riconoscerle e affrontarle senza lasciar uscire i miei lati peggiori, senza travolgere le persone con il mio fuoco o con il mio gelo. Ora so che voglio vivere una vita senza paura di legarmi, senza paura di essere felice.

Aurora