Le crepes

Tre uova, 100 g di zucchero, 300 ml di latte, 200 g di farina, 50 g di burro. Ecco la ricetta per il mio ricordo felice. Lo conservo nella mente, in un’immagine nitida, chiarissima che sfiora quasi la realtà. Purtroppo non ho tantissimi ricordi di lei. Non so perché, non me lo spiego

Probabilmente è un modo per difendermi, per non provare dolore. Eppure dovrei averne un’infinità, visto tutto il tempo che abbiamo passato assieme. Tutte le volte che penso alla mia nonna, la prima cosa che mi torna alla mente sono le crepes. Ogni volta che ho l’occasione di mangiarne una mi sembra di tornare di nuovo lì, in quella cucina. Lei alle prese con i fornelli, indossa un grembiule, ha il mestolo in mano con cui cucina crepes, mentre canticchia qualche canzone storpiata dalla sua allegria.

Anni dopo. “Pronto, sì, chi è?”.

“Ciao nonna, sono io, potresti per favore darmi gli ingredienti delle crepes? Sai ho deciso di provare a farle anche io. Non so se sarò brava come te, ma voglio proprio provarci.

“Eh sì, allora…”

Silenzio.

“Nonna, ci sei? Quindi?”

“Si`, scusa ma non me li ricordo”.

Era tutta la vita che cucinava crepes e non si ricordava gli ingredienti. Non si ricordava la ricetta del mio ricordo felice.

Non è vero che i ricordi rimarranno per sempre. Anche quelli possono esserci portati via. Lei giorno dopo giorno li perse tutti, piano piano, uno per uno. Si ammalò di Alzheimer. I sensi di colpa mi divoravano. Venne ricoverata e io non riuscivo proprio ad andare a trovarla.

Poi un giorno, non so bene perché presi coscienza che il tempo è maledettamente poco, pochissimo ed ebbi il terrore di pentirmi per tutta la vita. Dovevo andare da lei, ma era davvero troppo difficile. Stavo male. Che egoista! Pensavo al mio dolore, e al suo? E a lei ci pensavo? In 5 anni ci sarò andata sì e no tre volte. Non ci riuscivo, mi faceva troppo male accettare la realtà e vederla, senza ricordi.

Poi un giorno, non so bene perché presi coscienza che il tempo è maledettamente poco, pochissimo ed ebbi il terrore di pentirmi per tutta la vita. Dovevo andare da lei, ma era davvero troppo difficile. Stavo male. Che egoista! Pensavo al mio dolore, e al suo? E a lei ci pensavo?

La casa di riposo distava un chilometro da casa mia. Barcollando, m’incamminai verso la struttura che ospitava mia nonna. Mi ero bevuta una birra dopo l’altra, ero ubriaca. Per l’ennesima volta, non riuscivo a guardare in faccia il dolore e dovevo stordirmi.

Finalmente arrivai da lei. La stanza aveva l’aria pesante, anche la mia testa lo era, così come il mio cuore. Era tutto pesante. Mi sedetti accanto al suo letto e le strinsi la mano pronunciando parole di scuse. Piangevo. Chissà se comprendeva i miei discorsi. Forse no, forse non mi aveva neppure riconosciuta.

Forse… inaspettatamente mi strinse forte la mano. Una settimana dopo quella visita se ne andò. Ovviamente ho pensato che mi stesse “aspettando” e questo mi fece stare ancora più male. Scontato dire che indietro non si può tornare, che non posso più rimediare. Posso solo provare a perdonarmi per l’egoismo che ho dimostrato e fare l’unica cosa che si può fare: non commettere mai più un errore simile.

Non cercare di sotterrare un dolore che comunque c’è ed esiste, attutendo i colpi con qualche sostanza ma imparando a guardarlo in faccia quel dolore. E infine cercare di volermi bene come me ne voleva lei. Mi è venuta voglia di una crepes.

Micol

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo