Io sapevo che era lì

Questa è la storia dell’amicizia e dell’amore che ci sono stati tra me e Alessandro, un ragazzo fantastico, che in questo momento sta affrontando un percorso di recuperoa San Patrignano. Probabilmente vi chiederete come può esserci spazio per questi sentimenti, nella vita di un tossico. Lasciatemi raccontare chi è, chi siamo stati io e lui, e forse vi ricrederete.

Io e Ale ci siamo conosciuti 13 anni fa. Appena ci siamo visti è scattato qualcosa tra noi due, un vero colpo di fulmine. Ci siamo presi e non ci siamo più lasciati, siamo diventati inseparabili. Quante passeggiate da soli, di notte, in centro sotto i portici, con quelle luci soffuse e quell’aria fredda che mi piaceva tanto. Non c’era anima viva; eravamo solo io e lui, nessun altro. Eravamo una cosa sola. E ogni volta finivamo sempre per tornare a casa tardi, con le gambe stanche e il sorriso in faccia, addormentandoci uno accanto all’altro. Lui, ricordo, mi diceva sempre: “Guarda che se entrano i miei, dopo rompono”. Già, è normale, di solito i cani non dormono nel letto. Ma Ale mi voleva troppo bene, non era come tutti gli altri. Alla fine, infatti, si faceva convincere, mi lasciava dormire lì di fianco a lui e io scodinzolavo felice. Con gli occhi chiusi mi rincuorava sempre, dicendomi che presto saremmo andati a vivere da soli e sarebbe cambiato tutto. E così è successo. Poco tempo dopo ci siamo trasferiti, io e lui da soli, e in effetti tutto è cambiato molto, ma più che altro per lui. Dopo aver cambiato casa Ale ha cominciato a scordarsi di me. Quando c’era mi voleva bene, giocava con me, era tutto perfetto. Poi però a volte stava via tanto tempo, non rientrava a casa per giorni. Qualche volta non si ricordava di darmi da mangiare. Non era cattivo. Era diverso. Aveva cominciato a fumare l’eroina, così la chiamava lui. Ogni volta che fumava quella cosa, diventava un altro.

Non era più il mio Ale. Era disattento, isolato nel suo mondo. Ma non era sempre così. Io sapevo che Ale non era cambiato. Era come se si fosse nascosto, addormentato. Ormai davo per scontato che si sarebbe dimenticato del mio compleanno, come accadeva con tutte le altre cose; quell’anno invece non è andata così. È tornato a casa tardi, non lo aspettavo nemmeno più, e aveva una sorpresa per me: mi aveva portato una torta per cena, la mia preferita. Saltavo, scodinzolavo come una matta. Mentre mangiavo tutta felice, mi sono accorta che la sua cena invece sarebbe stata tonno e cracker. Mi sentivo in colpa. Avrei voluto dagliene metà, per vederlo star bene, festeggiare con me. Ma sapevo per certo che non l’avrebbe mai mangiata. Lo guardavo da sotto il tavolo. Gli volevo un gran bene, vederlo così mi faceva stare malissimo. Ovviamente dopo poco tempo la situazione è diventata insostenibile. Lui non riusciva nemmeno più a badare a se stesso. Ogni volta che mi guardava si sentiva in colpa.

Così un giorno ha preso tutte le mie cose, siamo usciti e mi ha accompagnato dai suoi genitori. Non volevo crederci. Non riusciva più a mantenermi, i soldi gli servivano per l’eroina. Quando ha dato il guinzaglio a sua madre mi ha guardato. In quel momento ho odiato l’eroina più di ogni altra cosa al mondo. Ale, per lei, mi aveva abbandonato. In quel periodo, a casa con i suoi genitori, mi sono ammalata gravemente. Mi mancava Ale, avevo bisogno di lui. Non potevo volergli male, proprio perché era lui. A volte sognavo che mi veniva a prendere, di nuovo felice e sorridente, e che mi portava al parco a giocare con la palla; poi mi svegliavo e trovavo sua madre, da sola in cucina, e mi veniva da piangere. Per un mese ho vissuto in un incubo. Poi un giorno la porta di casa si è aperta. Ale è tornato a casa.

Quando l’ho visto rientrare ero felicissima. Saltavo da tutte le parti, lo leccavo, abbaiavo, scodinzolavo così forte che non riuscivano a tenermi ferma. Ale era distrutto, magrissimo, non aveva nemmeno la forza di sorridermi, ma non era importante. Era di nuovo lì con me. Voleva intraprendere un percorso a San Patrignano e aveva bisogno di un mese per riassestarsi, prima di entrare. Ero felice per lui, felice che volesse tornare a star bene. Io lo sapevo, lo sentivo che il mio Ale era ancora lì, che era ancora buono. Gli altri non lo vedevano ma io l’avevo sempre saputo. Non era cambiato. Era solo nascosto sotto quel silenzio. Intanto però il male che avevo stava peggiorando sempre di più, le forze mi stavano abbandonando. Gli stavo vicino, ma capivo che non ci sarei stata ancora a lungo e che sicuramente non l’avrei rivisto a fine percorso. Ma non era importante.

Il periodo prima che lui partisse è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Era come essere tornati a molti anni prima, quando ci eravamo appena conosciuti, sempre assieme, inseparabili. Sono felicissima che quel giorno di 13 anni fa, in quella stanza buia, fra tutti i miei fratelli e le sorelle, lui abbia scelto proprio me. In tutto questo tempo siamo riusciti a creare un legame fortissimo che porterò sempre nel mio cuore. Adesso Ale è lì a San Patrignano, sta per finire il suo percorso, ma non riusciremo a rivederci. Lo sto lasciando. Ma sono felice. Perché so che, anche se non gliel’ho mai detto, lui sa che gli ho voluto più bene che a chiunque altro, e che ho creduto in lui fino all’ultimo respiro. Il suo cane, Ira

 

Alessandro

 

Tratto da “SanpaNews”. Scopri come riceverlo.